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L’attenzione al capriccio

26 Mar

Entriamo nel merito de «la Catena di Elettra» trattando i più tipici errori di ruolo, dove per ruolo intendo quello di genitore e educatore. Descriverò pertanto in modo abbastanza schematico alcuni comportamenti inadeguati da parte del genitore in quanto genitore.

Francesco aveva imparato presto a ottenere ciò che voleva: già a 3-4 anni si lanciava in pianti isterici a ogni rifiuto da parte del padre, il quale rispondeva al capriccio chiedendo a suo figlio “perché” facesse quelle scene, ricordandogli (a 3 anni!) che in fondo lui stava dando al bimbo tutto ciò di cui aveva bisogno e bla-bla-bla elucubrazioni varie. Insomma, il capriccio del bambino diventava occasione di discussioni, contrattazione e gag tragicomiche in cui l’adulto usciva sistematicamente sconfitto.

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Perché fa i capricci?

Il «Sinnataggen» (Gustav Vigeland) presso il Vigelandsparken a Oslo.

Il «Sinnataggen» (Gustav Vigeland) presso il Vigelandsparken a Oslo.

Per capire come reagire in tale situazione, bisogna innanzi tutto sapere perché il bimbo fa i capricci. I bambini alla nascita si regolano esclusivamente in base alle emozioni che provano: fame, sete, sonno, paura eccetera. Man mano che la maturazione psichica progredisce, le emozioni lasciano sempre più spazio alla logica e al ragionamento; insomma il bambino “ideale” nasce come essere emotivo e pian piano diventa un individuo in cui emozioni e razionalità trovano il giusto equilibrio.

Va da sé che un bambino di 3-4 anni comunica ancora principalmente per emozioni. Quando percepisce un disagio, egli risponde più spontaneamente con pianti e strepiti che con un piuttosto innovativo: “Egregia Signora Mamma, desidererei continuare a giocare invece di prepararmi per uscire, ma Lei non me lo sta permettendo e perciò Le significo tutto il mio disappunto.”

Il capriccio è una richiesta d'attenzione inadeguata. Va ignorato.

Il capriccio è una richiesta d’attenzione inadeguata: va ignorato.

Siccome i bambini, come le cornacchie e i topolini, capiscono in fretta che a una specifica causa corrisponde uno specifico effetto, se il genitore darà retta a quella manifestazione inadeguata di richiesta d’attenzione, la prossima volta che si presenterà l’occasione di continuare a giocare invece di uscire, il bambino si profonderà in estrose improvvisazioni vocali in no minore, comunemente dette capricci. Quindi la soluzione è effettivamente quella che sentiamo ripetere spesso dagli educatori: il capriccio va ignorato [1]. Bisogna proprio fare come se il bambino non esistesse: lui cerca la nostra attenzione in un modo scorretto e noi, firulì firulà, continuiamo a fare le nostre cose come se nulla stesse accadendo, come se lui fosse invisibile. Quando poi il bimbo si sarà calmato, torneremo a concedergli tutta l’attenzione necessaria e dovuta. Occhio ché questa regola vale con tutti, dai zero ai centodieci anni: «Capriccio? NON ascolto. Comunicazione positiva? Sì, ascolto.»

Si ricordi il genitore ipersensibile cui dovesse “piangere il cuore” al vedere il bambino in quelle condizioni, che rispondere in qualsiasi modo a un capriccio significa far sì che, la prossima volta, il bimbo usi lo stesso metodo, oltretutto rinforzato («se funziona, diamoci dentro!»); la relazione genitore-figlio si farà così sempre più instabile e inquieta perché il genitore si sentirà sempre più debole e impotente di fronte alla piccola peste, la quale, siccome è ben più esperta di comunicazione emotiva rispetto a un adulto, se ne accorgerà e ne approfitterà ulteriormente. Oltretutto, è utile ricordare che un bambino abituato a ottenere ciò che vuole col capriccio, diventerà rapidamente una creatura infelice e poi un adulto che vorrà ottenere ciò che desidera con il lamento, l’imposizione, la violenza. Gran bel risultato, eh?

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Gestire le emozioni

È essenziale che il bambino impari a gestire e superare da sé le emozioni negative: mai intervenire durante o dopo un capriccio.

È essenziale che il bambino impari a gestire e superare da sé le emozioni negative: mai intervenire durante o dopo un capriccio.

Esiste un secondo intento, ancor più educativo, nell’ignorare il capriccio: lasciato alle sue emozioni, il bambino impara a gestirle; inizialmente egli si abbandona alla disperazione, ma alla fine pianti e strilli costituiscono una valvola di sfogo essenziale (ricordiamoci come ci sentivamo più distesi dopo aver pianto) ed è importantissimo che egli li conosca fin dalla più piccola infanzia e li sperimenti varie volte. Se impediamo al bambino di gestire da sé queste emozioni, negative ma innocue perché del tutto istintive e naturali, egli non sarà mai in grado di affrontare la sconfitta, la frustrazione; una volta divenuto adulto, queste condizioni genereranno pertanto in lui una rabbia irrefrenabile oppure la convinzione che “capitano tutte a me”, “sono sfortunato”. Mi raccomando, quindi, cari genitori: lasciate che il vostro bimbo attraversi tutto il capriccio senza intervenire!

Ciò detto è bene però precisare che non tutti i pianti e le urla così comuni nei bimbi più piccoli sono capricci; è essenziale che il genitore sappia distinguere un disagio vero (es. un dolore fisico, un sintomo) cui dovrà rispondere con gesti e parole di rassicurazione, da un disagio pur sempre vero, ma cui non si può né si deve porre rimedio. E’ poi evidente che capricci insistenti e ripetuti, anche senza malessere fisico, possono celare un disagio psichico che necessita di una risposta adeguata e professionale: il pediatra ha tutti gli strumenti per capire di cosa si tratta ed è in grado di consigliare la soluzione più adeguata.

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[1] A tal proposito si legga, per esempio, qui, qui e qui.