Quanti di voi dissentono sul fatto che lo stimolo più naturale e spontaneo per iniziare un’attività è l’entusiasmo? Letteralmente questa parolina magica significa qualcosa come “possessione da parte di Dio”. L’entusiasmo è quella benzina, quell’idrogeno, quell’energia nucleare che ci aiuta a superare ogni timidezza, ogni dubbio, ogni esitazione e ci lancia ad ali spiegate nei compiti più difficili.
L’entusiasmo è un virus estremamente contagioso e benigno. Si trasmette molto facilmente per vicinanza emotiva e siccome ormai abbiamo imparato che i bambini sono madrelingua emotivi, capiremo subito che se con l’entusiasmo è facile motivare persino un adulto, figurarsi un bambino!
Tra parentesi, avete mai provato con un cane o un gatto? Benché non sia nemmeno paragonabile a quella umana, alcuni animali denotano una logica sorprendente; ma ancor più si osserva che essi sono facilmente influenzabili dalle emozioni; è noto a molti, per esempio, che il cane finisce per riprodurre fedelmente gli atteggiamenti del padrone: se questi è triste, pure se non ostenta emozioni negative, il cane ne risentirà immediatamente. Moltiplicate questa capacità empatica per 10 e passate all’unità di misura superiore: ecco a voi – TA-DAAA! – il bambino.
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Genitore motivatore
Uno dei ruoli essenziali del genitore è proprio quello di motivatore. Il genitore che non si dedica in modo attivo, consapevole e costante alla produzione di stimoli emotivi positivi nei confronti del bambino, finisce per generare in tutta la famiglia (le emozioni si trasmettono dai giocatori all’intera squadra) noia patologica, rapporti difficili, apatia, sconforto, senso d’impotenza; ovviamente queste emozioni negative protratte nel tempo formeranno un adulto con scarse doti di socialità e, una volta ancora, infelice, incompleto, insoddisfatto di sé. Il solito prodotto dell’assenza di ruolo, insomma. Avete avuto genitori poco motivanti? Vi ritrovate anche solo parzialmente in questa sgradevole situazione? Occhio coi vostri bimbi…
Non sorprendetevi, quindi, se vostro figlio non fa i compiti volentieri quando glielo chiedete in modo impositivo o insistente: quasi mai il bambino capisce perché deve lasciare il gioco per una cosa che l’annoia. Lo stesso discorso vale per lavarsi, vestirsi, gettare la spazzatura e, insomma, per ogni attività che distoglie il bambino dall’impero generosamente concessogli da Madre Natura: il gioco.
Si noti che già quest’ultima parolina nasconde un piccolo segreto: se ci sforziamo di trasformare in gioco ogni attività richiesta al bimbo, questi si motiverà da sé e rimarremo presto sorpresi di come ciò che una volta era un generatore di sbuffi, si trasformi in un’attività in cui il piccolo dà il meglio di sé. Ho già spiegato in altro post che, per apparecchiare la tavola, si può giocare a riconoscere le stoviglie facendo ripetere al bambino il loro nome e prevedendo un piccolo premio se, alla fine, tutto sarà piazzato nell’ordine stabilito.
Tornando all’entusiasmo, ogni attività richiesta dovrà essere sempre condita da notevoli dosi di motivazione, intendendo con ciò che la nostra voce, la nostra gestualità (body language), la nostra espressione dovranno sempre mostrare voglia di fare. Il “Carlo, fa’ i compiti!” o il “Per favore aiutami a sparecchiare!” andranno pertanto sostituiti da un gran sorriso, tanta voglia di fare e un brillantissimo: “Forza, forza ché facciamo insieme un po’ di matematica!” (se il bimbo ha problemi [1] con la materia) o “Forza, forza ché se studi un po’ di matematica diventi bravissimo e poi sei libero di fare [quello che gli piace di più]!” (se sa gestirsi da solo o ignoriamo la materia) o ancora “Dai dai ché sparecchiamo insieme così mettiamo via tutto in pochissimo tempo e poi possiamo [fare qualche gioco divertente]!” Credetemi, funziona e anche a breve termine.
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I compiti di scuola
A proposito di compiti e scuola; poiché motivare un bambino a studiare o fare i compiti è di solito il problema numero uno di ogni buon genitore, suggerisco a chi ha figli in età prescolare qualche accorgimento da adottare fin da subito:
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MAI parlare della scuola in termini negativi! Le frasi come: “Quando andrai a scuola ti metteranno in riga!” fanno sì che nella testa del bambino di 4-5 anni si formi naturalmente il pregiudizio che la scuola è una riedizione di Mauthausen in chiave moderna.
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Della scuola e delle maestre si deve sempre e solo parlare in termini positivi, anche se non dovessero piacerci per qualsivoglia motivo (semmai poi le si prendono in separata sede e si sottopongono loro i nostri dubbi). È molto importante creare aspettative entusiasmanti, anticipare al bimbo della materna che [accendete il generatore di entusiasmo!] “L’anno prossimo sarai già un bambino grande e andrai a scuola, che è un posto bellissimo dove si conoscono tanti nuovi amici e s’imparano tante cose interessantissime…” – condendo il tutto con esempi specifici su argomenti che il bambino adora – “…come gli animali preistorici!”
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Rispondere sempre ai perché del bambino anche se siamo stanchi o ci paiono domande insistenti, inutili e banali: voi lo sapete da sempre, ma per lui è tutta una scoperta. È essenziale sollecitargli ragionamenti logici (utilizzando domande aperte: che cosa…? quali…? come…?), inducendogli nuove domande cui continueremo incessantemente a rispondere; il tutto va condito con tanto entusiasmo e se dovessimo ignorare una risposta: “Questo la mamma non lo sa; andiamo insieme a prendere un libro (o su internet) e cerchiamolo!” La ricetta appena esposta integra il punto 2) precedente perché una volta soddisfatte le curiosità del piccolo potremo aggiungere in modo bonariamente subdolo ma sicuramente efficace: “Ecco, a scuola s’imparano tutte queste cose interessanti e potrai trovar risposta a ogni tuo perché.” Quando sarete stufi di rispondere o semplicemente avrete altro da fare, diteglielo serenamente (“Ora il papà deve andare a vestirsi…”) e suggerite un’alternativa (…perché non vai un po’ in camera tua a [fare un bel disegno, giocare con quello che gli piace, leggere un argomento che gli interessa]?” Ma con entusiasmo!!!
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[1] Attenzione a non sostituirsi al bambino nei compiti; a tal proposito dedicherò un articolo nella categoria del disconoscimento. Il genitore può certamente affiancare il figlio in una materia in cui questi non riesce particolarmente bene, ma deve limitarsi a motivarlo a ragionare da sé o a concedergli piccoli suggerimenti teorici; se sbaglia e non ci si sente sufficientemente sicuri delle proprie doti di supplente, è d’obbligo lasciare che sia la maestra a correggerlo: ognuno ha il proprio ruolo.