L’incoerenza nel castigo

15 Dic

Procedendo nel cammino di questo blog, credo stia diventando sempre più evidente la strategia che propongo; considerando per esempio il caso di genitori che adottano uno stile educativo ambiguo, dovremo sempre porre massima attenzione a che i nostri atteggiamenti e le nostre azioni siano guidate dalla coerenza; in difetto, ci troveremmo a sconvolgere le menti logicissime dei nostri bambini, che perderanno così riferimenti, diventando irrequieti e imprevedibili.

Come ho già scritto, il castigo dovrebbe limitarsi a casi sporadici e ai bimbi più piccoli. Esso produce infatti principalmente un effetto emotivo: il bambino (specie se piccolo, 3-5 anni) non riterrà mai “logica” una vostra punizione (tutto ciò che fa, egli lo ritiene lecito); di essa, il piccolo percepirà solo lo spiacevole effetto psichico su di sé e – idealmente – andrà poi ad associare quest’emozione a uno o più azioni che noi abbiamo ritenuto inadeguate. Qualche castigo giustificato educa il bambino (se piccolo!)  ad accettare più serenamente le punizioni che inevitabilmente subirà da adulto (multe, punizioni sportive, sconfitte, finanche ai piccoli soprusi con cui dobbiamo purtroppo convivere). Ma riassumiamo le caratteristiche che un castigo dovrebbe prevedere per essere efficace e quindi educativo.

  • Dev’essere sporadico perché un castigo imposto più volte al giorno o anche alla settimana finisce per diventare una consuetudine cui il bimbo si abituerà senza prestarle più attenzione. E allora dovremo inasprire la pena e ciò condurrà a un circolo vizioso distruttivo per noi e per lui.
  • Dev’essere associato a un atto specifico che il bambino ha compiuto. Il castigo “perché ti sei comportato male” o “perché sei isterico” non ha alcuna spiegazione logica nella mente del bambino. Funziona già di più il “perché hai rotto quel vaso” (anche se prima bisognerebbe capire perché un vaso fosse alla portata di un bambino di tre anni…) o “perché hai sciolto la dentiera del nonno nell’acido”…
  • Dev’essere spiegato al bambino e ciò non significa solo dirgli “perché hai rotto il vaso”, bensì spiegargli che conseguenze ha avuto su di me, genitore: “quella dentiera era un ricordo del nonno che tenevo sul comodino; la dentiera, non il nonno”; insomma… il bambino, solitamente empatico, percepirà il nostro disagio (se sincero, se no, meglio evitare la punizione) e assocerà l’azione da lui compiuta al dispiacere di aver deluso la mamma o il papà (e, lassù, il nonno!). A lungo andare, e se non se ne abusa, può funzionare.
  • Deve andare a colpire un bene o un’attività che noi adulti riteniamo di poco rilievo per il bambino (anche se lui lo valuta importante). È sbagliato, ad esempio, vietare al bambino di giocare coi suoi amici perché noi adulti sappiamo che questa è un’attività essenziale per il suo corretto sviluppo psicofisico. È altrettanto scorretto fargli saltare la merenda o la cena per gli stessi motivi (i riti, le abitudini tranquillizzano i bambini). Potremo certamente togliergli il gioco preferito (tanto non esiste solo quello) o ritardargli di un giorno (o precludergli) la visione di quel cartone animato che gli piace tanto; togliergli un premio precedentemente promessogli non è una strategia valida (è incoerente con la promessa pregressa), ma possiamo concederglielo un po’ più tardi. Sempre spiegandogli perché.
  • Dev’essere breve perché il bambino si dimenticherà presto di ciò che ha fatto, perderà l’associazione errore-dispiacere e quindi finirà per ritenere il castigo un ingiustificabile sopruso; a questo punto, la punizione sarà diventata diseducativa. Quindi se gli togliamo un gioco, facciamolo per mezz’ora, non per cinque anni. Se gli proibiamo i cartoni, vietiamogliene uno, non l’intera serie.
  • Dev’essere principalmente orientato a bambini piccoli perché quelli più grandi (dai sei anni) hanno già sviluppato un ragionamento logico più solido, che li aiuterà a capire più facilmente quale azione ha prodotto cosa, affliggendo chi e finendo così per amareggiare loro stessi. A questi basterà spiegare in modo serio e dettagliato perché l’azione che hanno commessa è sbagliata. Inoltre un bambino di undici anni in punizione percepisce di essere trattato come un bambino piccolo (la comunicazione emotiva non è adeguata a menti logiche, in presenza di azioni specifiche) e subirà così un atto di disconoscimento, che di educativo non ha proprio nulla.
  • Al castigo nell’errore va sempre preferito il premio nel successo. Il premio suscita emozioni positive e ciò rinforza la consapevolezza di sé e delle proprie capacità; il castigo deve servire solo a fare in modo che il bambino associ emotivamente un comportamento inadeguato a un’emozione spiacevole (che non deve essere né intensa né significativa); esso si basa un po’ troppo sui meccanismi psichici di azione-feedback, ma talvolta può essere utile. Ovviamente anche nel premio non bisogna esagerare, altrimenti il bambino finirà per abituarsi (cioè il premio perderà l’effetto educativo) o peggio a credere che tutto gli sia dovuto.

Torniamo alla coerenza. Ovviamente i genitori devono essere fra loro d’accordo sul castigo, per i motivi che ho spiegato qui. Tuttavia in questo articolo desidero soffermarmi soprattutto sull’atteggiamento del genitore che infligge la “pena”: esso deve denotare coerenza con ogni altro aspetto della comunicazione; ad esempio, sarà essenziale mantenere un atteggiamento serio quando spieghiamo al bambino perché lo puniamo. Evitiamo quindi di ridere (lo so, a volte ci viene) o anche solo sorridere al bambino (certamente evitiamo anche atteggiamenti di eccessiva durezza); manteniamo in casa un clima di delusione e silenzio per qualche minuto, ma poi torniamo alla rilassatezza in cui ogni famiglia ha diritto di vivere. Il bambino capirà che noi consideriamo una sua specifica azione (non lui) sbagliata e, col tempo, cercherà di minimizzare la nostre delusioni perché – tutto sommato – saranno anche le sue.

Per ultimo, sul mantenere il castigo fino alla fine, una volta inflitto, credo di aver già detto tutto: non cediamo per nessun motivo.

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