Questo articolo costituiva un corpo unico insieme con quello sul disconoscimento; li ho separati per una maggior facilità di lettura.
Il rispetto non si pretende: si guadagna. Una volta guadagnato, il rispetto si può (anzi si deve) esigere. “Tu sei mio figlio e quindi mi rispetti!” non può funzionare se il genitore non rispetta per primo il figlio e altri (classicamente, l’altro genitore) di fronte a lui: è una questione di coerenza fra la pretesa del genitore e l’esempio che egli dà.
La carenza di rispetto è la prima e più diffusa forma di disconoscimento; essa s’insinua principalmente nella comunicazione verbale, ma non disdegna l’atteggiamento: una parolina, un gesto sbagliato (come un segno d’impazienza) sono facilmente interpretati dalla mente logica del piccolo come disconoscimento (“Valgo poco perché faccio fatica a capire ciò che papà vuole da me e lui si scoccia!”)
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Un rispetto a sette facce
Sono almeno sette i punti da tenere ben presenti quando ci rivolgiamo al bambino o ad altre persone in sua presenza.
1. L’individuo. Come ho già scritto diverse volte, un figlio non è un nostro prolungamento, una replica di noi in piccolo. Ogni bambino (così come ogni persona) è un individuo pensante indipendente, diverso da noi e da chiunque altro, gemello monozigota incluso. Se non rispettiamo nostro figlio in quanto individuo, otterremo lo stesso risultato che col nostro collega o con lo sconosciuto che incontriamo per strada; anzi, peggio: lo sconosciuto potrà anche mandarci a quel paese dimenticandosi di noi; nostro figlio, invece, sarà obbligato a vivere i prossimi anni in un ambiente disconoscente. Non è una piacevole prospettiva; voi come vi sentireste? Quindi il famoso «BRRR! Che freddo, mettiti il maglione!» non si configura solo come sorpresa, bensì come mancanza di rispetto nei confronti dell’individuo; precisamente sto dicendo al bambino: «Tu non sei una persona!» Immaginarsi l’effetto su di un essere che sta pian piano prendendo consapevolezza di sé…
2. Le inclinazioni. Poiché è un individuo pensante indipendente, il bambino avrà le sue inclinazioni (interessi, passioni): a voi piacerà tanto Battisti, la saggistica e il pallone, ma magari lui prediligerà Beethoven, l’astronomia e il disegno. Se lo prendete in giro perché “I tuoi amici giocano a calcio in oratorio mentre tu stai qui a pasticciare fogli!” [1] non rendete onore prima di tutto alla vostra stessa intelligenza… Incuriositevi delle sue passioni; mostrate attenzione verso i suoi interessi: potreste voi stessi scoprire qualcosa che non avreste mai immaginato essere tanto stimolante.
Il disconoscimento delle inclinazioni è davvero pericoloso. Attenzione, per esempio, a prendere in giro i gay di fronte a vostro figlio o vostra figlia di 9 anni. In molti [pre]adolescenti l’omosessualità si manifesta in modo transitorio (con l’amico/l’amica del cuore) e solo una minoranza rimane omosessuale in seguito. Nel 2013 d.C. dovremmo avere imparato che l’omosessualità non è una devianza o una malattia, perciò prepariamoci per tempo: cerchiamo di non mettere i nostri figli nelle condizioni di vivere uno dei periodi più complessi della loro esistenza in un ambiente che si è palesato ostile fin dall’infanzia; tanto, se vostro figlio resterà omosessuale, non potrete certo cambiarlo voi col vostro atteggiamento di rifiuto…
3. Le idee. Le inclinazioni, alimentate dalla logica e dalla fantasia del bambino, producono idee proprie, originali, che non necessariamente coincidono con le nostre o con quelle comunemente ritenute valide: se non le capiamo o non le condividiamo, possiamo anche dirglielo (il confronto moderato è comunque educativo), ma manteniamo sempre un atteggiamento di distacco ed equilibrio. Se il bimbo disegna gli alberi blu, possiamo chiedergli perché secondo lui l’albero ha il tronco e le foglie blu, buttando lì un delicato «Che strano: non avevo mai visto un albero col tronco blu!», ma prepariamoci a sorprenderci del fatto che egli ci fornirà una risposta del tutto logica sul perché, secondo lui, quell’albero ha il tronco blu! Ci accorgeremo che ci sarà sfuggito proprio quel particolare che avrebbe giustificato una scelta per noi così anomala!
È essenziale rispettare le idee del bambino perché così egli si sentirà libero di dar spazio alla sperimentazione e alla fantasia in un ambiente aperto e sereno, di “specializzarsi” in qualcosa che gli riesce facile; tutto ciò che, poi, in un adulto diventerà il motore dell’innovazione e del successo. Anzi, cerchiamo di affiancarlo e motivarlo a fare quello che gli piace e che sa davvero fare bene. In caso contrario, rischiamo di creare un adulto “quadrato” e “standard” (oltreché infelice perché annoiato e noioso), incapace di distinguersi dalla massa per qualcosa di particolare; in un mondo sempre più competitivo e complesso, questo non lo aiuterà ad affrontare la dura realtà. Meglio poi un tornitore sereno e innamorato del suo lavoro, che un economista ricco ma frustrato.
4. Guai poi a non rispettare le emozioni del bambino. Un modo semplicissimo ed efficace per fargli capire che teniamo a ciò che prova, è di verbalizzarle, partecipandole. Se lo vediamo triste, chiediamogli: “Mi sembra che tu sia triste; anche a me ogni tanto succede. Posso chiederti perché?” Se lo vediamo particolarmente allegro, riconosciamogli: “Ti vedo particolarmente felice e ciò rende contentissimo anche me!” In questo modo gli faremo capire che gli siamo sempre vicini dal punto di vista emotivo (cioè che parliamo abbastanza bene la sua lingua) e che ciò che egli prova (specie se sgradevole) è cosa che succede un po’ a tutti: non è lui l’unica pecora nera a sperimentare lo sconforto.
Ricordiamoci che è importante anche rispettare le sue emozioni verso terzi. Se un amico gli sta particolarmente a cuore, facciamoci vedere amichevoli o perlomeno rispettosi (se proprio l’amico non ci piace) anche nei suoi confronti; se non lo facessimo, il bambino potrebbe perdere fiducia nelle nostre capacità di capirlo e l’amico potrebbe sostituirsi al genitore nel compito; insomma, se volessimo allontanare l’amico da nostro figlio (perché abbiamo fondati motivi che egli possa danneggiarlo), sarebbe proprio la strategia più sbagliata… Ciò è particolarmente pericoloso durante l’adolescenza, quando più forte è il desiderio (del tutto naturale, anzi, benefico) del ragazzino di crearsi una matrice di riferimenti esterni alla famiglia. Ricordiamoci che il metodo più efficace è il dialogo; solo col dialogo capiremo qual è il modo migliore per risolvere un eventuale problema: il conflitto e il confronto non portano da nessuna parte.
5. Ognuno ha e deve avere i propri spazi. Noi rispetteremo quelli del bambino (ad esempio, decideremo assieme a lui come disporre le cose nella sua cameretta) e pretenderemo che egli rispetti i nostri (per esempio, che non entri in bagno quando ci siamo noi, che non esiga di dormire con noi nel lettone). Inoltre richiederemo che egli rispetti gli spazi degli altri membri della famiglia: se ogni fratello ha una cameretta, la regola più logica sarà: “Si entra nella cameretta altrui soltanto chiedendo prima il permesso”. L’educazione al rispetto degli spazi è essenziale: quanta gente invadente e fastidiosa troviamo nella vita di tutti i giorni? Il genitore che non educa a questa regola d’oro non assolve al dovere civico di educare il figlio a vivere in una società libera. Nel momento in cui il nostro figlio divenuto adulto invaderà gli spazi altrui, avrà limitato l’altrui libertà come fanno i dittatori; è chiaro che se è pure tendenzialmente aggressivo, potrebbe costituire un vero e proprio pericolo per la società. Difficilmente diventa ladro chi ha assoluto rispetto per gli spazi altrui…
6. Allo stesso modo degli spazi, dovremo rispettare i suoi tempi. Sebbene i bambini ragionino in modo più rapido degli adulti, generalmente agiscono (e si esprimono) più lentamente, specie se sono molto piccoli. Si pensi al caso della mamma che usa il passeggino con suo figlio di tre anni perché «ho poco tempo da perdere!»: la condizione ideale vuole che ogni attività pianificata preveda tempi più lunghi del “normale”; così, se ci si reca al supermercato in 10 minuti, accompagnando un bimbo di due anni ne serviranno 20 o 30, ma questo tempo sarà sempre ripagato dalla soddisfazione di veder crescere il proprio figlio in grande autonomia e serenità. Se quindi a noi servono 20 minuti dalla sveglia alla partenza, coi bambini servirà probabilmente un’ora; mai forzare eccessivamente i tempi: si trasmette nervosismo e si perde un’occasione educativa d’oro!
7. Infine rispetteremo i modi. Nessun bambino, specie le prime volte, svolge un’attività con la cura e la perfezione di un adulto (incluso il parlare). Se avremo convinto nostro figlio al «gioco» di apparecchiare la tavola, lasciamoglielo fare con un po’ di disordine: l’importante, all’inizio, è che il bambino svolga l’attività; col tempo, imparerà anche a compierla a regola d’arte. Quando è proprio piccolo, predisponiamogli un ambiente che possa sporcare liberamente (tappetino in terra, un po’ distante dalla tovaglia, bavaglino), ma lasciamogli usare da solo il cucchiaio per mangiare: le prime volte il cibo volerà un po’ dappertutto, ma il bambino prenderà rapidamente confidenza con lo strumento e già prima dei 2 anni sarà in grado di mangiare da solo in modo ordinato. Se storpia le parole, noi riproporremo la stessa frase in modo corretto, magari sotto forma di domanda, ma non facciamogli capire che lo stiamo correggendo: tanto, alla lunga, imparerà la forma corretta per imitazione. A un “Voio apa!” risponderemo “Vuoi dell’acqua? Eccola qui!” oppure “Se avrei fame mangerei!” – “Eh certo! Anch’io se avessi fame mangerei!” Regola d’oro: se il bambino non sperimenta da sé, non impara.
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Conseguenze della carenza di rispetto
Fallire in uno dei sette punti sopra elencati costituisce modello negativo e quindi non dovremo stupirci, per esempio, se nostro figlio si farà un baffo delle idee altrui quando noi siamo i primi a non rispettare quelle del bambino o di altri di fronte a lui. Inoltre, vivere una realtà in cui il rispetto è scarso genera nel bambino, e quindi nel successivo adulto, la convinzione di valere poco (ignavia, depressione), oppure di non saper farsi rispettare (ansia, insicurezza), o ancora che il rispetto si ottiene solo con la forza e la teatralità (aggressività, narcisismo, istrionismo).
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Pretendere un rispetto guadagnato
Se e solo se avremo rispettato i punti sopra, allora, dovremo anche pretendere rispetto. Soltanto in quella condizione le eventuali piccole punizioni saranno vissute dal bambino come il risultato di una propria manchevolezza. Soltanto allora il bambino, dopo aver gestito la frustrazione del rimprovero, capirà di aver sbagliato e non si sentirà vittima di una «giustizia» illogica e incoerente. Se io non rispetto gli spazi del bambino, come posso punirlo se continuerà a entrare in bagno quando avremo ospiti a casa? “Perché papà può farlo e io no?” si chiederà. Se derido mio figlio perché si occupa di cose che considero di poco conto e lui scoppia in lacrime di rabbia, che logica vi sarà nell’eventuale mia punizione? È un po’ come chi affama il cane e poi lo punisce perché ruba la bistecca dal tavolo della cucina…
Su, non abbiamo forse abbastanza esempi di scarso rispetto nella vita di tutti i giorni? Non è forse giunto il momento di fare qualcosa di concreto per cambiare le cose?
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[1] Ricordo personalmente i miei fratelli maggiori quando avevo 15 anni: “Stai qui ad ascoltare Bach invece di scoparti una diversa ogni sera!” Notare che la morosa ce l’avevo e me la trombavo pure! Ma essendo io tendenzialmente risk-averse, durava già allora anni…