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L’abbandono nelle decisioni

17 Mag

Siamo giunti all’ultimo articolo sull’argomento degli errori di ruolo, fra quelli pianificati fin dall’inizio de «la Catena di #Elettra»; tuttavia, se dovessero sorgere altri spunti personali o da parte di voi, cari lettori, sarò lieto di aggiungerli in seguito.

Generalmente il bambino mostra, rispetto a noi adulti, qualche difficoltà in più a decidersi. Se gli proponete un armadio pieno di magliette e lo invitate a scegliere, spesso passerà minuti interi a capire che cosa indossare e più facilmente ripiegherà su un capo a portata di mano, uno a caso, o a ciò che mette più spesso. Perché? Semplice! Perché il bambino è abitudinario: egli trova nelle regole e nella regolarità dello svolgimento delle azioni quotidiane il suo più potente ansiolitico. Una decisione è invece un momento di crisi (il significato letterale di questo termine in greco è, appunto, “decisione”) perché la necessità di una scelta rompe il pacifico flusso delle cose di sempre.

Abbiamo visto negli articoli precedenti quanto è importante che il genitore eserciti il suo ruolo, affiancando (non guidando!) il bambino nei momenti di difficoltà, per esempio quando non vuole o non riesce a svolgere un compito; il genitore dovrà quindi facilitare anche un esercizio arduo (lo è spesso per un adulto, figurarsi per un bambino) come scegliere.

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L’imbarazzo della scelta

Alcuni di noi si trovano in difficoltà persino davanti a una decisione semplice come valutare il giusto paio di scarpe o un breve itinerario fra due. Forse ciò avviene proprio perché i nostri genitori, un po’ carenti di ruolo, non ci hanno aiutato a costruire gradualmente quella sicurezza in noi stessi, quella consapevolezza delle nostre capacità, necessarie per svolgere persino le cose più semplici di tutti i giorni. Repetita iuvant: il ruolo del genitore, e la sua corretta messa in pratica, sono fondamentali per rinforzare il carattere e quindi il benessere del bambino che poi sarà adulto. Affiancare (non guidare!) il bambino nelle decisioni è un’occasione estremamente positiva per esercitare il ruolo del genitore.

Affiancare, come ormai sappiamo bene, non significa guidare il bambino o sostituirsi a lui; in questo contesto, non significa decidere per lui. Affiancare significa rendere un compito più agevole dal punto di vista emotivo, prima ancora che pratico. Così, per esempio, sarà importante motivare positivamente nostra figlia se, dopo un intero anno di danza (attività da lei scelta e che l’ha sempre appassionata), sarà titubante a presentarsi al saggio finale (grazie a Cristiana Calilli, @100per100mamma, per lo spunto); rinforzeremo emotivamente la nostra bambina ricordandole i successi fin lì ottenuti, quanto è migliorata, ed esprimendole complimenti sinceri ed entusiasti. Sarà anche importante cercar di capire il motivo che porta il nostro bambino a fermarsi di fronte a una difficoltà leggermente superiore: forse la prossima volta cercheremo di rinforzare i comportamenti positivi di nostro figlio lungo tutto il percorso dell’esercizio. Nel caso della danza, quindi, forse l’anno prossimo dovremo dialogare di più con nostra figlia quando torna da lezione, mostrandoci regolarmente interessati ed entusiasti dei suoi risultati (senza però sconfinare nel deleterio: “Mio figlio è un genio!”)

A tre anni un bambino si veste da solo (e se non lo fa ancora, care mamme, è un’ottima occasione per recidere il cordone ombelicale…), ma non riuscirà probabilmente a scegliere quali vestiti mettersi; sarà perciò importante che il genitore eserciti il suo ruolo corretto selezionando, per esempio, tre magliette/camice mostrandole al bimbo in modo che questi possa confrontarle e decidere quale indossare. Una volta scelta la maglietta, sarà la volta dei pantaloncini, che il genitore avrà sapientemente scelto fra quelli abbinabili alla maglietta (così col tempo il bambino imparerà da solo il gusto dell’abbinamento); poi si passerà al maglioncino e così via.

Chiaramente dovremo dedicare un po’ più di tempo al “rito della vestizione”, rispetto al caso in cui il genitore si sostituisca al bambino scegliendo i capi per lui e magari pure impedendogli di far da sé nel vestirsi (azione molto diseducativa: ne discuteremo quando tratteremo la sostituzione, nella categoria del disconoscimento), ma nessuno su «la Catena di #Elettra» ha mai scritto che l’educazione è cosa semplice. Quindi, care mamme e cari papà, sarà necessario che prevediate nei vostri tempi mattutini qualche minuto in più per il bene psichico di vostro figlio. La fast education è come il fast food: fa schifo, anche se in qualche sporadico caso può servire; alla lunga, però, nuoce gravemente alla salute…

Affiancamento, non gestione

8 Mag

Su Twitter sono spesso accusato di voler creare «piccoli automi» o improbabili «bimbi perfetti»; in realtà lo scopo de «la Catena di #Elettra» è esattamente l’opposto. Non è facile argomentare la complessità dell’educazione nel Letto di Procuste dei 140 caratteri; se a ciò uniamo la tendenza di molti “cari connazionali” di saltare alle conclusioni senza soffermarsi sui dettagli [1], la comprensione risulta spesso stravolta e ciò qualche volta mi obbliga a “segare” certi personaggi che tanto non cambieranno mai atteggiamento e opinione. A titolo compensativo, confido sempre molto nel buon senso dei tanti moderati che leggono le scaramucce verbali twitteriane ed “elettriche”, riflettendo in silenzio. Ne ho continua conferma dai messaggi privati che molto volentieri ricevo.

A proposito: se volete scrivere un articolo per la Catena di #Elettra, inviatemi pure un messaggio privato su Twitter a @VaeVictis: vi comunicherò volentieri la mia mail o il mio telefono; questo non è il blog di Bruno de Giusti, bensì un centro di discussioni sull’educazione e i suoi metodi universalmente consolidati e ritenuti validi (tranne in Italia e qualche altro Paese latinoide…)

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L’importanza del far da sé

Dicevo, è proprio osservando certi genitori e il comportamento dei loro figli così insicuri che ci rendiamo conto di quanto sia importante rendere autonomo e indipendente un bambino. Quanti di noi si sentono spesso frustrati perché dobbiamo iniziare un compito e rimandiamo perché “forse non ci riuscirò”, “non sarà certo facile”, “non ne ho voglia”, “ho paura di fallire” eccetera? Lavoro che poi spesso svolgiamo e terminiamo con sorprendente rapidità e successo; tuttavia iniziarlo è spesso un problema e qualche volta anche portarlo a compimento…

Perché il bambino diventi autonomo è necessario lasciare che faccia il più possibile da sé, eventualmente affiancandolo.

Perché il bambino diventi autonomo è necessario lasciare che faccia il più possibile da sé, eventualmente affiancandolo.

Voi capite bene che se non educhiamo un bambino a far da sé, a rendersi consapevole delle proprie capacità, la condizione da me evidenziata si trasformerà in un ostacolo, a volte un vero e proprio incubo, un concreto impedimento nella vita di tutti i giorni, nella famiglia, nel lavoro, nella carriera, nell’ottenimento del successo e delle soddisfazioni che rendono la nostra esistenza meritevole di esser vissuta. Anche in questo caso ci riconduciamo alla frustrazione del bambino-uomo che, “grazie” ai genitori, mai è diventato adulto e pertanto riterrà di essere “inferiore” a chi, invece, del compito (inteso come attività che deve cominciare, ha uno svolgimento e termina possibilmente con successo) avrà fatto un’abitudine, una regola di vita.

La sintesi di questo breve discorso si esprime in un importante concetto educativo: la gestione del bambino non lo renderà mai autonomo. In ogni compito che egli si trova a dover svolgere, dall’abbottonarsi la camicia al problema di matematica, il bambino non dev’essere mai “guidato”; al più “affiancato”. Per “affiancare il bambino”, si intende che il genitore deve:

  1. spiegargli con parole semplici e chiare che cosa deve fare, se non sa ancora farlo;

  2. lasciargli sperimentare l’attività senza intervenire, anche se inizialmente egli dovesse commettere errori;

  3. motivare positivamente il bambino a cominciare il compito e a condurlo sempre a termine.

La motivazione dev’essere un rinforzo positivo: ad esempio solleciteremo il bambino a cominciare l’attività perché “stai diventando grande e quindi sono sicuro che saprai svolgere benissimo questo compito da bambino grande come te!” E quando dovesse trovarsi in difficoltà, sarà pure essenziale ricordargli che “sei molto bravo perché finora hai saputo fare tutto da solo e sono certo che terminerai il compito con successo!”

Ricordiamoci che per motivare un bambino è essenziale mantenere il ruolo del genitore/educatore che è forte della consapevolezza che ogni bambino impara qualsiasi compito, se solo vi si dedica adeguatamente: la nostra voce e l’atteggiamento devono essere quelli di una persona convinta che il lavoro sarà svolto senza il minimo dubbio; è il concetto francese del “pas possible autrement”: non può essere che così!

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Esempi di compiti alla portata di un bambino

Piccolo appunto importante: ogni bambino è in grado di svolgere qualsiasi compito alla sua portata fisica e cognitiva. Con ciò intendo che, evidentemente, non potremo pretendere che sviti la ruota di un camion o risolva un’equazione differenziale (salvo casi davvero particolari), ma, credetemi, un bambino di sette anni è perfettamente in grado di:

  • raccogliere le comande di una tavolata e trasmetterle al cameriere;

  • leggere da sé e capire un intero libro di racconti, anche non necessariamente per bambini (attenzione: niente trame dell’orrore, violente o comunque inadeguate!);

  • bagnare l’orto o le piante sul balcone, anche programmandone l’irrigatore automatico;

  • prendersi cura di un piccolo animale (un coniglio, un gatto) dalla A alla Z;

  • dipingere un quadro con tecniche specifiche.

Va da sé che un bambino di due anni è perfettamente in grado di mangiare senza intervento di un adulto (prevedere un microambiente in cui egli possa sporcare e sporcarsi liberamente); a quattro anni sa vestirsi del tutto da sé; a sette anni io riparavo le prese di casa dopo aver tolto la corrente intervenendo sullo specifico interruttore di sei e guidavo una FIAT 127 in ambiente protetto… Credetemi: possono farlo davvero tutti, se davvero lo desiderano; a dodici anni un ragazzino è fisicamente e psichicamente in grado di gestire un’azienda e pilotare un aereo di linea… All’estero questi concetti non sono favole di un sognatore; da noi i bambini sono invece sempre più spesso limitati dalle ansie e dalle istruzioni dei genitori, persino nelle azioni più naturali come mangiare da sé, allacciarsi un paio di scarpe, fare i compiti, prepararsi per la notte eccetera.

Con gli esempi sopra esposti non intendo affermare che per rendere autonomi e indipendenti i nostri figli dobbiamo insegnar loro compiti da adulti, ci mancherebbe! Tutto deve venire da sé, dal bambino stesso, rispettando le sue inclinazioni e i suoi tempi. Può però accadere che alcuni mostriciattoli vogliano proprio cimentarsi in imprese specifiche, particolari, inusuali e se davvero pensiamo che possano esservi portati (cioè lo farebbero volentieri e mostrano motivazione), proviamo a lasciar loro svolgere il compito da sé, affiancandoli e vigilando sulla loro sicurezza, se necessario.

P.S. Commento di mia moglie, che italiana non è: «Certo che sembra incredibile dover scrivere cose di questo genere, che ognuno dovrebbe arrivare a capire da sé…»

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[1] Quella che definisco «Sindrome del titolo» riferendomi a chi trae conclusioni dal titolo di un articolo, invece di leggerlo.

Lo scarso coinvolgimento

11 Apr

Quanti di voi dissentono sul fatto che lo stimolo più naturale e spontaneo per iniziare un’attività è l’entusiasmo? Letteralmente questa parolina magica significa qualcosa come “possessione da parte di Dio”. L’entusiasmo è quella benzina, quell’idrogeno, quell’energia nucleare che ci aiuta a superare ogni timidezza, ogni dubbio, ogni esitazione e ci lancia ad ali spiegate nei compiti più difficili.

L'entusiasmo del genitore è essenziale per coinvolgere il bambino in qualsiasi attività.

L’entusiasmo del genitore è essenziale per coinvolgere il bambino in qualsiasi attività.

L’entusiasmo è un virus estremamente contagioso e benigno. Si trasmette molto facilmente per vicinanza emotiva e siccome ormai abbiamo imparato che i bambini sono madrelingua emotivi, capiremo subito che se con l’entusiasmo è facile motivare persino un adulto, figurarsi un bambino!

Tra parentesi, avete mai provato con un cane o un gatto? Benché non sia nemmeno paragonabile a quella umana, alcuni animali denotano una logica sorprendente; ma ancor più si osserva che essi sono facilmente influenzabili dalle emozioni; è noto a molti, per esempio, che il cane finisce per riprodurre fedelmente gli atteggiamenti del padrone: se questi è triste, pure se non ostenta emozioni negative, il cane ne risentirà immediatamente. Moltiplicate questa capacità empatica per 10 e passate all’unità di misura superiore: ecco a voi – TA-DAAA! – il bambino.

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Genitore motivatore

Uno dei ruoli essenziali del genitore è proprio quello di motivatore. Il genitore che non si dedica in modo attivo, consapevole e costante alla produzione di stimoli emotivi positivi nei confronti del bambino, finisce per generare in tutta la famiglia (le emozioni si trasmettono dai giocatori all’intera squadra) noia patologica, rapporti difficili, apatia, sconforto, senso d’impotenza; ovviamente queste emozioni negative protratte nel tempo formeranno un adulto con scarse doti di socialità e, una volta ancora, infelice, incompleto, insoddisfatto di sé. Il solito prodotto dell’assenza di ruolo, insomma. Avete avuto genitori poco motivanti? Vi ritrovate anche solo parzialmente in questa sgradevole situazione? Occhio coi vostri bimbi…

Non sorprendetevi, quindi, se vostro figlio non fa i compiti volentieri quando glielo chiedete in modo impositivo o insistente: quasi mai il bambino capisce perché deve lasciare il gioco per una cosa che l’annoia. Lo stesso discorso vale per lavarsi, vestirsi, gettare la spazzatura e, insomma, per ogni attività che distoglie il bambino dall’impero generosamente concessogli da Madre Natura: il gioco.

Si noti che già quest’ultima parolina nasconde un piccolo segreto: se ci sforziamo di trasformare in gioco ogni attività richiesta al bimbo, questi si motiverà da sé e rimarremo presto sorpresi di come ciò che una volta era un generatore di sbuffi, si trasformi in un’attività in cui il piccolo dà il meglio di sé. Ho già spiegato in altro post che, per apparecchiare la tavola, si può giocare a riconoscere le stoviglie facendo ripetere al bambino il loro nome e prevedendo un piccolo premio se, alla fine, tutto sarà piazzato nell’ordine stabilito.

Tornando all’entusiasmo, ogni attività richiesta dovrà essere sempre condita da notevoli dosi di motivazione, intendendo con ciò che la nostra voce, la nostra gestualità (body language), la nostra espressione dovranno sempre mostrare voglia di fare. Il “Carlo, fa’ i compiti!” o il “Per favore aiutami a sparecchiare!” andranno pertanto sostituiti da un gran sorriso, tanta voglia di fare e un brillantissimo: “Forza, forza ché facciamo insieme un po’ di matematica!” (se il bimbo ha problemi [1] con la materia) o “Forza, forza ché se studi un po’ di matematica diventi bravissimo e poi sei libero di fare [quello che gli piace di più]!” (se sa gestirsi da solo o ignoriamo la materia) o ancora “Dai dai ché sparecchiamo insieme così mettiamo via tutto in pochissimo tempo e poi possiamo [fare qualche gioco divertente]!” Credetemi, funziona e anche a breve termine.

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I compiti di scuola

A proposito di compiti e scuola; poiché motivare un bambino a studiare o fare i compiti è di solito il problema numero uno di ogni buon genitore, suggerisco a chi ha figli in età prescolare qualche accorgimento da adottare fin da subito:

  1. MAI parlare della scuola in termini negativi! Le frasi come: “Quando andrai a scuola ti metteranno in riga!” fanno sì che nella testa del bambino di 4-5 anni si formi naturalmente il pregiudizio che la scuola è una riedizione di Mauthausen in chiave moderna.

  2. Della scuola e delle maestre si deve sempre e solo parlare in termini positivi, anche se non dovessero piacerci per qualsivoglia motivo (semmai poi le si prendono in separata sede e si sottopongono loro i nostri dubbi). È molto importante creare aspettative entusiasmanti, anticipare al bimbo della materna che [accendete il generatore di entusiasmo!] “L’anno prossimo sarai già un bambino grande e andrai a scuola, che è un posto bellissimo dove si conoscono tanti nuovi amici e s’imparano tante cose interessantissime…” – condendo il tutto con esempi specifici su argomenti che il bambino adora – “…come gli animali preistorici!”

  3. Rispondere sempre ai perché del bambino anche se siamo stanchi o ci paiono domande insistenti, inutili e banali: voi lo sapete da sempre, ma per lui è tutta una scoperta. È essenziale sollecitargli ragionamenti logici (utilizzando domande aperte: che cosa…? quali…? come…?), inducendogli nuove domande cui continueremo incessantemente a rispondere; il tutto va condito con tanto entusiasmo e se dovessimo ignorare una risposta: “Questo la mamma non lo sa; andiamo insieme a prendere un libro (o su internet) e cerchiamolo!” La ricetta appena esposta integra il punto 2) precedente perché una volta soddisfatte le curiosità del piccolo potremo aggiungere in modo bonariamente subdolo ma sicuramente efficace: “Ecco, a scuola s’imparano tutte queste cose interessanti e potrai trovar risposta a ogni tuo perché.” Quando sarete stufi di rispondere o semplicemente avrete altro da fare, diteglielo serenamente (“Ora il papà deve andare a vestirsi…”) e suggerite un’alternativa (…perché non vai un po’ in camera tua a [fare un bel disegno, giocare con quello che gli piace, leggere un argomento che gli interessa]?” Ma con entusiasmo!!!

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[1] Attenzione a non sostituirsi al bambino nei compiti; a tal proposito dedicherò un articolo nella categoria del disconoscimento. Il genitore può certamente affiancare il figlio in una materia in cui questi non riesce particolarmente bene, ma deve limitarsi a motivarlo a ragionare da sé o a concedergli piccoli suggerimenti teorici; se sbaglia e non ci si sente sufficientemente sicuri delle proprie doti di supplente, è d’obbligo lasciare che sia la maestra a correggerlo: ognuno ha il proprio ruolo.