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La violenza fisica

10 Apr

“Una sculacciata non ha mai fatto male a nessuno!” — “Un bel ceffone al momento giusto…” — “Ora ringrazio mio padre per quando me le dava di santa ragione!”

Recentemente è di moda il femminicidio; tuttavia, spesso accade che notizie scandalose siano diffuse ad arte dai media, che hanno bisogno di vendere e sanno che gran parte delle persone non leggono oltre il titolo; infatti i dati dimostrano che in realtà le donne ammazzate da uomini non sono per nulla aumentate. Ma vabbe’, siccome il mondo è complesso e l’umanità contraddittoria, gratta gratta scopriamo che molte delle mamme che si scandalizzano davanti a tali notizie, poi non esitano a manifestare la propria più argomentata convinzione sulla presunta validità delle tre affermazioni nell’incipit.

Già,la violenza genera violenza, sempre e comunque.

Un bambino che subisce un atto di violenza fisica (o verbale o psicologica o di qualsiasi altro tipo) tenderà naturalmente a riprodurlo perché, udite udite, il messaggio che mamma e papà trasmettono col manrovescio è sempre il solito ed è estremamente logico e pericoloso: “Siccome sono un genitore debole e non ho argomenti adeguati alla situazione, ricorro alle botte.” Che si può anche leggere come: “Caro bambino mio, se non sai come convincere l’amichetto a ridarti il giocattolo, usa la mazza da baseball.” Succede.

E mi domando se qualcuno di quelli che “Ma che vuoi che sia uno scapaccione ogni tanto!” abbia mai pensato in termini di proporzioni… Vediamo. Mamma Genoveffa è alta cm 170 e pesa 55 Kg; suo figlio Annibale, 5 anni, è alto un metro e pesa 16 Kg. Consideriamo come Annibale vede sua mamma mentre gli dà un ceffone. Anzi, immaginiamo come Genoveffa vedrebbe la stessa scena, mantenendo la proporzione, se suo marito fosse grande come Genoveffa e Genoveffa come Annibale.

Genoveffa, che ha una mano lunga 16 centimetri, vedrebbe un signore alto 2 metri e 90 centimetri (1,7 volte la sua altezza) e del peso di 190 Kg (3,4 volte la sua stazza) sfoderare ‘na mano tanta di 27 centimetri (praticamente un disco a 33 giri) e riversargliela addosso con una forza percepita pari a più di tre volte quella che l’incauta madre violenta pensa di produrre schiaffeggiando il povero Annibale. Io sono alto 188 cm e peso 88 Kg. Se me la prendessi con Annibale sarebbe come se un mazinga di tremetriemmezzo per cinquequintali mi spatasciasse una Treccani in faccia o sul culetto (che poi, nel mio specifico caso, è la stessa cosa). Spiacevole, no?

Avete idea di che trauma possa produrre una scena di tale maestosa grandiosità vissuta in un particolare momento di debolezza psichica di un bambino? Perché non è che il nostro bimbo è sempre bello, allegro, sereno e pronto ad affrontare un Merkava’ che lo trita. Se il ceffone capita nel momento sbagliato, lo segnerà per tutta la vita e poi hai voglia di sostegno psicologico e regime carcerario duro…

Praticamente, cara Genoveffa, sì: se picchi tuo figlio, sei una criminale e se un giorno un uomo cresciuto da uno come te ti ammazzerà di botte, per favore, almeno non lamentarti, perché sono i genitori come te a produrre i femminicidi. Ergo, oggi abbiamo imparato che cercare di sessualizzare il responsabile logico di un crimine è un’operazione quantomeno discutibile.

Naturalmente poi non tutti i bambini reagiscono allo stesso modo al battipanni.

  • C’è chi «impara la lezione» e da grande metterà le mani addosso o comunque aggredirà chiunque lo contraddica.
  • C’è chi capisce subito che il genitore è debole, e diventerà presto padrone della situazione, sfidandolo e infischiandosene di regole e autorità; da adulto riprodurrà nella nostra già difficile società comportamenti simili e facilmente criminogeni.
  • C’è chi si sottomette e obbedisce. E così farà in una vita che lo condannerà a frustrazioni indicibili perché non appena egli si troverà di fronte a un prepotente o a una difficoltà, rinuncerà ad affrontarli: in lui domina il ricordo inconscio di quelle bastonate che facevano tanto male… Fra questi sfigati, poi, si selezionerà un gruppetto che finirà inevitabilmente sulle cronache per aver ammazzato quattordici persone in un Paese notoriamente aggressivo, ventuno ragazzini davanti a una discoteca [1] o sessantanove avversari politici in un’isola di benessere. I giornalisti si precipiteranno a raccontarvi che è stato un «raptus», mica un «genitore criminale».

Non dimentichiamo poi che la violenza fisica non si manifesta solo con le botte: anche l’uso di maniere spicce coi nostri bimbi produce risultati compatibili. Perciò se il piccolo si rifiuta di salire in auto dopo aver cercato di motivarlo con le buone, non lo prenderemo in malo modo schiaffandolo sul sedile, bensì lo tratteremo come faremmo con qualunque oggetto delicato che dovessimo mettere in auto, ricordandoci però che stiamo comunque avendo a che fare con una persona: insomma, decisi sì — “Niente storie, non si può fare altrimenti!” — ma anche amorevoli.

Come dite? Ah, quello che “Ora ringrazio mio padre per quando me le dava di santa ragione!” Servono forse spiegazioni? Come agirà quel genitore di fronte al bimbo che fa i capricci, al solo scopo di onorare la memoria di un cadavere che nella vita ha iniziato o perpetuato una catena di violenza? E spezziamola, una buona volta…

Oh, che c’è ancora?!? Ah, io sarei verbalmente violento?!? Ma dove?!? Be’ prendetevela con mio padre, e in parte anche con mia madre. In questo caso la catena l’ho spezzata solo selettivamente: coi bimbi, non c’è ombra di dubbio. Con voi… prima devo suonarvi la sveglia (visto che una fredda argomentazione razionale funzionerebbe solo coi moderati, che difficilmente mettono le mani addosso ai bambini), poi ne riparliamo, eh?

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[1] Capito come funziona il terrorismo islamista in Paesi o «culture» dove i bambini crescono nella frustrazione di dover tacere di fronte a padri che il fanatismo religioso rende indiscussi padroni?