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I NO senza alternativa

12 Mag

Nell’articolo sulle regole abbiamo volutamente tralasciato quella più diffusa, ma spesso applicata a sproposito: il NO. Questa parolina magica e la sua fonetica perentoria costituiscono la forma più semplice di regola, il suo simbolo, l’ideogramma primario. Abbiamo ricordato che se instauriamo una regola, è essenziale farla rispettare sempre e comunque, pena la perdita del ruolo, dell’autorevolezza del genitore. Il NO (lo scrivo tutto in maiuscolo perché è uno degli strumenti educativi di base da non perdere mai di vista) non fa eccezione. Riprenderemo questo pilastro educativo in uno specifico articolo nella categoria della coerenza.

NO!Il NO è un paracarro posto in un tornante sul precipizio: va da sé che dev’essere realmente motivato (inutile ripeterlo: al di là, dev’esserci un vero pericolo fisico o psichico per il bambino), estremamente solido (cioè il genitore non deve cedere mai) e invalicabile (pena la caduta del bimbo nel baratro dell’insicurezza o del pericolo).

Tuttavia molti genitori mi fanno notare che, specie coi bimbi più piccoli, non è facile limitare i NO a un numero ragionevole e senza fastidiose, frustranti ripetizioni; a tal proposito è utile fin da subito ricordare che le serie interminabili di NO, specie se immotivate perché si riferiscono ad attività normali per il bambino (esempio classico: “Non correre!”, “Non sudare!”, “Non sporcarti!”), finiscono per passare totalmente inosservate. I NO, essendo una regola, devono seguirne le… regole: pochi, importanti e fatti sempre rispettare.

Onde evitare un inutile e controproducente moltiplicarsi d’improbabili dinieghi, ritengo quindi importante ricordare che ogni NO dovrebbe sempre offrire un’alternativa: “NO, adesso non si può guardare la TV; perché invece non fai [elencare 2-3 alternative su attività che appassionano il bimbo]?”; se il bimbo è abbastanza grande (in età scolare), è necessario aggiungere una spiegazione: “NO, in questo momento non si può uscire perché sta arrivando un temporale ed è pericoloso per i fulmini; perché piuttosto non… eccetera?” Se distraiamo il bimbo senza necessariamente ricorrere all’inganno (come faremmo se lo piazzassimo davanti alla maledetta teletatacattiva: la TV), lo coinvolgeremo positivamente, egli si dimenticherà presto dell’idea iniziale e avremo salvato capra e cavoli.

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Attenzione al linguaggio!

Come per le regole, un piccolo suggerimento sul linguaggio: specificare sempre il NO all’inizio della frase; quindi usare la forma impersonale per esprimere il divieto; infine, se il NO si riferisce a una negazione valida per un periodo limitato di tempo, aggiungere un avverbio o una locuzione che conferiscano temporaneità al divieto; molti studi sulla comunicazione concordano nell’affermare che il “non” è ignorato dal cervello; pertanto, imporre un semplice “Non uscire!” al nostro bimbo, strano ma vero, potrebbe risultare nell’interpretazione opposta: “Esci!” Questo è uno dei motivi per cui molti bimbi piccoli non ascoltano per nulla i divieti: “Non far questo!”, “Non far quello!” diventano una mera istigazione a combinar danni…

NO, adesso non si esce!” ha tre vantaggi: la frase comincia con un “NO” netto e inequivocabile; la forma impersonale non è interpretata dal bimbo come un attacco personale e quindi è digerita meglio; “adesso” fa sì che il bimbo capisca che, se la condizione cambia (ad esempio il tempo migliora), il NO potrà decadere. Attenzione all’uso della forma impersonale ché potrebbe non risultare sempre preferibile: coerenza vuole che essa non si debba adottare se uno dei familiari deve uscire malgrado il temporale (magari per andare al lavoro); il “non si deve” vale per tutti i membri della squadra-famiglia e quindi, se si prevede che qualcuno debba uscire comunque, meglio ripiegare sulla cara vecchia seconda persona singolare: “NO, adesso non puoi uscire!”

Bimbi nel lettone? No grazie!

11 Mag

Sorprende che un oscuro ingegnere senta l’esigenza di rispondere a uno dei medici più noti a livello internazionale su un argomento più prossimo a lui che a me, ma quando ce vo’, ce vo’… L’articolo incriminato, trasmessomi gentilmente dal mio twittamico Luca Primavesi (@LucaPrimavesi), che ringrazio, ha per argomento il solito bimbo nel lettone e potete leggerlo qui.

Ora, cari lettori, voi potete liberamente liquidare queste mie parole come le farneticazioni di un incompetente che pretenderebbe d’insegnare il buon senso di tutti i giorni a un luminare, ma intanto dovremmo verificare se anche l’Umberto Veronesi «padre di sette figli» non sia affetto da quell’alibi del lavoro che impedisce a molti di vivere il buon senso delle cose di tutti i giorni, almeno in famiglia…

A bomba, non sono per nulla d’accordo. Lasciar dormire il bimbo nel lettone è:

  1. pericoloso perché il genitore che si addormenta rischia di schiacciare o soffocare il piccolo, come purtroppo la cronaca c’insegna (qui, qui, qui, qui e qui). Cronaca a parte, uno studio pubblicato dal British Medical Journal il 20 maggio 2013 dimostra che i bimbi che dormono nel lettone hanno probabilità cinque volte superiore di morire di SIDS.

  2. diseducativo perché il bambino non impara fin da piccolissimo che esistono spazi privati da rispettare (e tralasciamo le conseguenze sull’intimità della coppia);

  3. dannoso perché può creare dipendenza e intimità morbosa coi genitori.

Il bambino deve dormire sempre nel suo letto e, appena possibile, nella sua stanza. Al più, quand’è piccolissimo si può pensare di sistemare il lettino a fianco della mamma, eliminando la barriera rivolta verso il lettone; attenzione però perché anche questa soluzione non è scevra di rischi: dai 5-6 mesi di vita il lattante può infatti «migrare» verso il lettone e finire ancora una volta schiacciato.

L’argomentazione secondo cui nei Paesi più poveri si dorme tutti nel lettone è interessante ma piuttosto discutibile perché difatti se ne vedono il contesto e i risultati sociali…

Inoltre non è del tutto vero che dobbiamo basarci sui nostri istinti: se siamo riservati, facciamo un piccolo sforzo e diventiamo affettuosi col bimbo (con parole e gesti) perché siamo adulti e consapevoli del fatto che il bambino è madrelingua emotivo e non possiamo proprio evitare di comunicare con nostro figlio per colpa di una nostra rimediabilissima debolezza.

GattoInfine, se proprio i genitori non resistono al morboso desiderio di un terzo «corpo caldo da coccolare nel lettone», si comprino un gatto!

Poche regole ma confuse

28 Mar

Stavate riflettendo su alcuni vostri punti deboli e vi siete soffermati su una certa insicurezza che caratterizza il vostro modo di agire? Oppure ritenete di avere scarsa fantasia nel risolvere i problemi anche semplici che tutti i giorni costellano la vostra vita? Forse i vostri genitori non conoscevano l’uso adeguato delle regole

Le regole non sono un’invenzione delle educatrici nazistoidi di una volta, imposte giusto per assumere il controllo totale del pargolo. Esse costituiscono uno strumento essenziale al bambino per poter crescere in modo equilibrato; anche se non lo ammetterà mai, egli ha bisogno di sentirsi dire che cosa può fare e che cosa non può fare; ha bisogno di crearsi una mappa mentale virtuale degli “spazi” in cui può muoversi in assoluta libertà. Bambini cresciuti con una quantità o qualità di regole inadeguate, possono diventare rapidamente insicuri e infelici (anche da adulti) perché il messaggio che trasmettiamo al bimbo è, a seconda della configurazione di regole, “Arrangiati!” oppure “Non mi fido della tua capacità critica!” Quindi le regole sono uno degli strumenti essenziali con cui il genitore ha l’occasione di manifestare il proprio ruolo e accrescere la propria autorevolezza; fallire sulle regole significa mettere in discussione col bambino il proprio ruolo di genitore; vuol dire screditarci ai suoi occhi.

Non vorrei apparire troppo schematico, perciò annuncio subito che non sono favorevole a determinare una vita familiare basata sul Manuale delle Giovani Marmotte o, meno prosaicamente, su una Bibbia delle Regole o un Talmud che descriva nel dettaglio la soluzione pratica a ogni situazione possibile. Mi limito perciò a ripetere quel che scaturisce dal buon senso della nonna, che poi è una persona che ha commesso tanti errori nella sua lunga vita e qualcosa, da quegli errori, ha imparato: per un minimo di convivenza civile, in famiglia e in società, servono poche regole importanti, concordate, chiare, positive e fatte sempre rispettare.

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Regole di qualità

Le regole devono essere importanti. Sarebbe inutile, anzi dannoso (perché limita la creatività del bambino) cercar di stabilire un processo per ogni attività familiare; è utile limitarsi a quelle situazioni che, per esempio, mettono in pericolo l’incolumità del bambino (“Si cammina sempre sul marciapiede!”), gli impediscono una comunicazione efficace (“Si parla solo quando la mamma ha finito di parlare!”), limitano la sua maturazione psichica (“La TV si guarda al massimo per un’ora al giorno!”). Ognuno col proprio partner deve decidere quali sono i punti essenziali su cui deve basarsi la civile convivenza in famiglia, e codificare quei punti in regole. Va da sé che, essendo i punti essenziali, le regole dovranno essere poche.

Le regole devono essere concordate. Innanzi tutto fra i partner, che devono condividerle e promuoverle: entrambi devono essere intimamente convinti della bontà delle regole e consapevoli dell’obiettivo che, con esse, vogliono conseguire. Se uno dei due non è d’accordo, meglio lasciar perdere. Poi è utile anche concordarle col bambino, se questi è sufficientemente grande per capirle (3-4 anni); resta però fermo il fatto che se i genitori decidono che una regola è necessaria (per esempio, per la sua incolumità), il bambino dovrà comunque rispettarla, anche se con essa non concorda. Concordare le regole col bambino è utile perché questi accetterà più volentieri un accordo, che un’imposizione dall’alto; del resto ciò vale anche nelle intese fra adulti: faccio il project manager, potete fidarvi! 😉

Le regole devono essere chiare. Nessun bambino accetterà un’imposizione che non capisce. Inutile trattare la bimba di 4 anni come Fosca: “Quando ti lavi le mani, chiudi il rubinetto rimettendolo in posizione tale che il prossimo utente goda di una temperatura adeguata; poi asciugati bene le unghie e le mani, anche fra le dita; quindi, con lo stesso asciugamano, pulisci una a una le gocce d’acqua sul rubinetto e nel lavabo perché l’acqua di Milano è piuttosto calcarea e, con l’inflazione galoppante, il Viakal ha assunto un costo proibitivo!” Forse è più efficace un: “Prima di mangiare, bisogna sempre lavarsi le mani…” Se poi il bambino è sufficientemente grande (6-7 anni) si deve anche spiegare il perché della regola: “…perché l’igiene aiuta a non ammalarsi.” Insomma, siamo brevi, basiamoci su situazioni che il bambino possa comprendere al volo (“Prima di mangiare”, non “Quando ritieni di aver le mani troppo sporche per venire a tavola”) e usiamo parole semplici.

Le regole devono essere positive. Evitiamo l’uso del “non” e dei divieti: questi sono sempre percepiti come un sopruso o semplicemente non entrano nella testa (il “non” è facilmente ignorato dal cervello). Se vogliamo dirgli quindi: “Non uscire dal parco giochi!”, giriamola in: “Si resta sempre dentro il parco giochi!” “Non accettare caramelle dagli sconosciuti!” diventa così “Si mangiano solo le caramelle che ti dà la mamma!” (dando una bella enfasi su quel “solo”. L’uso della forma impersonale (“Si fa!”, non “Fai!”) fa sì che, almeno coi bambini più grandi, la regola sia percepita come universale; cioè non la deve rispettare solo il bambino, bensì vale per tutti e quindi… mal comune, mezzo gaudio! Altro suggerimento utile: usate sempre un avverbio con valenza assoluta, su cui porrete l’enfasi (osservate quelle paroline in corsivo nelle regole d’esempio che ho citato); ciò aiuta il bambino a capire che non si tratta di un semplice consiglio, bensì di una regola che non ammette eccezioni.

Le regole devono essere fatte rispettare. Non ha alcuno scopo imporre (anzi, concordare!) una regola, se poi non la si fa rispettare senza eccezioni. Anzi, poiché la natura ha programmato il cervello del bambino affinché colga immediatamente il nesso causa-effetto, se si transige sul rispetto della regola, questa sarà addirittura percepita come qualcosa di esplicitamente concesso… Quindi se non si ritiene di riuscire a far rispettare una regola sempre e comunque, è meglio non imporla del tutto.

Far rispettare le regole è meno difficile di quel che si pensi, ma, chissà perché, non ci si pensa mai: è sufficiente che quando il bambino si comporta secondo quanto stabilito, glielo si faccia notare e ci si mostri entusiasti e soddisfatti di “quell’ometto così bravo!” Anzi, diffondiamo una regola universale che permeerà «la Catena di #Elettra» fino all’ultimo articolo: i premi funzionano molto meglio delle punizioni; hanno solo il piccolo problema di essere azioni con effetto a medio-lungo termine (cioè, genitori, abbiate pazienza: i risultati arriveranno di sicuro!), mentre le punizioni hanno effetto a breve-brevissimo termine e, se ce l’hanno a medio-lungo, è sempre negativo, spesso traumatico. PS: Questa regola vale persino nell’educazione degli animali!

Ovviamente, se il bimbo non è stato abituato fin da piccolo a seguire regole, all’inizio ci troveremo di fronte a capricci e alla necessità d’imporre piccole punizioni. Importante è non intervenire mai con rabbia o manifesta preoccupazione (nemmeno se ha attraversato la strada senza consenso), bensì mostrarsi amorevolmente severi e dispiaciuti per “Quella regola che hai infranto…” Coi bimbi più grandi è anche essenziale spiegare che conseguenze sarebbero potute scaturire dall’infrazione: “Sulle strade passano le macchine e hai rischiato di essere travolto!