L’alibi del lavoro

12 Apr

Mi sono ripromesso di scrivere di tanto in tanto articoli su argomenti correlati al percorso de «la Catena di #Elettra», anche se al di fuori della struttura logica che, da buon project manager, ho accuratamente pianificato prima di dar vita a questo blog [1]. Lo stimolo può scaturire dai commenti dei lettori, da fatti di cronaca, da osservazioni personali eccetera.

In seguito a commenti, tweet, messaggi personali e fatti della vita di tutti i giorni, ho deciso di cominciare questa sezione “capricciosa” con un argomento davvero spinoso perché porta al conflitto due responsabilità di base dell’essere umano: i figli e il lavoro; è un concetto che ho già introdotto nei primi articoli: l’alibi del lavoro ovvero quella condizione morbosa secondo cui la professione esercitata deve avere la priorità su tutto e tutti.

Laura e Bruno erano i genitori di Paolo; come già detto, lui era un artista e gli era pertanto facile trovar tempo per gestire le cose di tutti i giorni. Bruno si recava quotidianamente al parco col cane per lasciarlo sfogarsi e qui conobbe un altro padrone, un geniale psicologo con cui, mentre i cani si godevano l’agognata ora d’aria, discusse per anni della sua situazione in famiglia. Una domenica Paolo e i suoi genitori stavano pranzando al ristorante, quando Bruno si accorse che lo psicologo sedeva con la moglie proprio nel tavolo a fianco; dopo i convenevoli, il professionista si sedette vicino a Laura e, con l’arguzia che solo un grande stratega è in grado di esprimere, condusse rapidamente il discorso sui temi che a Bruno stavano così a cuore (e ancor più al piccolo Paolo, sebbene allora non ne fosse consapevole): l’assenza della moglie in carriera nell’educazione dei figli, la scarsa emotività positiva da questa manifestata, la dedizione ossessiva al lavoro.

La dialettica dell’abile professionista accompagnò ben presto Laura dallo scetticismo ideologico (“La psicologia è roba da santoni!”) a un rispettoso interesse che si trasformò in silenzio riflessivo di fronte all’inconfutabile verità che lo psicologo le prospettò in sette parole: “Signora, lei ha l’alibi del lavoro!” – intendendo, con ciò, che la professione era in realtà per Laura la scusa più efficace e socialmente convenuta per non assumersi responsabilità che le sarebbero certamente risultate più gravose di ciò che lei, ormai, gestiva sulla punta delle dita; proprio lei che non dedicava mai tempo di qualità al suo Paolo e che mai aveva voluto soffermarsi a riflettere su che cosa sono le emozioni e se fosse o meno opportuno riconoscerle e manifestarle coi figli… E poi: “Tutto ciò che lei sta perdendo ora coi suoi figli, non potrà mai più recuperarlo e un giorno si pentirà amaramente di questo; del suo lavoro non le resterà che qualche spicciolo (metafora non troppo distante dall’attuale «uomo più ricco del cimitero» del geniale Steve Jobs) e quando penserà di godersi i frutti di ciò che lei ritiene di aver prodotto, suo figlio non ci sarà più, sarà in tutt’altre faccende affaccendate, intimamente convinto che con lei, comunque, è stato un gran spreco di tempo.”

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Suggerimenti antialibi

Tutta la storia successiva dimostrò che lo scienziato aveva ragione. Cari lettori, Paolo mi raccomanda di comunicarvi che, in base alla sua esperienza emotiva e di uomo frustrato, insicuro e infelice per colpa della madre:

  • Gli orari di lavoro impossibili ogni santo giorno non esistono: nessuno potrà mai licenziare un genitore perché questi lavora secondo un orario congruo; certamente il genitore non potrà aspirare alla carriera che un impegno orario più prolungato favorirebbe, ma se questo era l’obiettivo, allora non avrebbe dovuto avere figli.

  • Le sequenze di sabati e domeniche di lavoro non esistono; l’impossibilità di pianificare almeno la metà dei tempo (in settimana e nei weekend) insieme coi figli testimonia non la dedizione al lavoro, bensì un disturbo della personalità e/o un crimine verso l’infanzia. Non sarebbe stato forse più semplice e meno dannoso non metterli al mondo?

  • Ai bambini non interessa che mamma e papà lascino un impero o anche solo un gruzzoletto, tutte cose convenzionalmente onorevoli ma precarie, effimere e che oltretutto ostacolano autonomia e autorealizzazione: a loro interessa solo ed esclusivamente l’amore, il rispetto, la coerenza e l’equilibrio di mamma e papà. Eh lo so che queste cose costano tanto, evidentemente più del sacrificio di restare qualche ora in più al lavoro, ma celano un significativo vantaggio: non sono né precarie né effimere e le si portano dentro il cuore fino all’ultimo giorno della nostra permanenza su questo atomo d’universo.

  • Tutto ciò che fa eccezione ai punti sopra esposti si configura senz’appello come alibi del lavoro ovvero l’interesse per la crescita equilibrata dei propri figli scambiato con l’ambizione e il successo personali.

Parafrasando una divertente e veritiera considerazione che si trova in rete, molti si pongono il dilemma se far carriera o aver figli, mentre è dimostrato che si possono fare entrambe le cose senza porsi domande cretine. Bastano organizzazione e buona volontà.

Pertanto, cari genitori tanto attenti (a parole) al benessere psichico dei vostri figli, vorrei aggiungere ai dolori del giovane Paolo lo sguaiato consiglio del rude project manager che ha lavorato sempre all’estero: compriamoci un buon libro di time management e facciamola finita con le solite scuse infantili ché ormai siamo grandi e grossi al punto che se non ci cospargiamo abbondantemente del deodorante dell’ipocrisia, puzziamo come caproni… Nel resto d’Europa la gente lavora 7-8 ore al giorno per cinque giorni la settimana e fa carriera lo stesso. Se la vostra non è inefficienza, allora è semplicemente piaggeria verso il vostro capo (“Eh ma il Roncoglioni è un gran lavoratore perché lo vedo sempre in ufficio!”) o più semplicemente fuga dalle responsabilità (che non si limitano all’azienda). Insomma è l’alibi del lavoro.

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[1] Failing to plan is planning to fail.

17 Risposte a “L’alibi del lavoro”

  1. liberadidire79 12 aprile 2013 a 10:22 #

    peccato che non si può sempre scegliere come organizzare il proprio tempo di lavoro.
    ma ogni caso è diverso.
    grazie

    • @VaeVictis 12 aprile 2013 a 14:49 #

      Sì che si può. È che non si vuole o più semplicemente non lo si sa fare. 😉 Ora ho un impegno; rispondo più tardi in modo dettagliato.

    • @VaeVictis 12 aprile 2013 a 18:22 #

      PANT! PANT! 😀 Eccomi! Nella mia carriera di responsabile di progetti ho visto di tutto, incluso ingegneri disorganizzati e diplomati (o gente con la terza media) ben organizzati… Riconosco al volo la gente disorganizzata: fa tardi la sera al lavoro, in genere arriva anche tardi la mattina, ripete in continuazione “Che stanchezza!”, la scrivania è un bordello, l’organizzazione del PC o del Laptop peggio ancora… Poi naturalmente succede che ogni tanto e anche se sono bravi, sbagliano qualcosa d’importante, sono generalmente imprecisi e approssimativi… Insomma, a volte sono bravissimi ingegneri dal punto di vista della scoperta di soluzioni a un problema, ma si rovinano la reputazione perché, CAZZO!, il mattino non si siedono alla scrivania e come prima cosa non prendono un fogliaccio A4 usato, una pennaccia che scrive a malapena e non si redigono la lista delle cose da fare in quella giornata, possibilmente in ordine di priorità.

      La vita è diventata complessa. Oggi non c’è più l’omino che va a lavorare nei campi mentre la moglie resta a casa e si occupa della prole (e comunque bisogna vedere, poi, quanto semplice fosse organizzarsi anche allora); come ha detto bene qui sotto “Fran’s Fun Lab”, la vita è un gioco degli incastri e se non ci si siede prima a pensare, poi non s’incastrerà proprio nulla e ci si troverà a mandare il figlio di tre anni a nanna alle 23, quando il suo bene lo vorrebbe a letto già dormiente alle 20:30-21:00 perché un bimbo di quell’età dovrebbe dormire 12-14 ore la giorno. Ora immagino che tuo figlio riposerà anche di pomeriggio, ma, facendo due conti, se anche si alzasse alle 8 di mattina per andare all’asilo, avrebbe bisogno di un sonnellino pomeridiano di 3-5 ore che francamente mi sembrano eccessive (però un pediatra potrebbe intervenire con più autorevolezza).

      Non conosco ovviamente la tua specifica situazione (se vorrai parlarne, magari altri potrebbero darti utili spunti) però ti suggerirei di partire dal dato di fatto che il bambino di notte deve dormire 11-12 ore e poi suggerirei di regolare tutto il resto in base a questa priorità che deve essere assoluta: il benessere di una persona (quale il bambino è) non può non avere la priorità su tutto il resto, via… Mi sorprende che tu dica: “Altrimenti rischio di non vederlo mai.” Mi scuso per la sfrontatezza (qui comunque non si fanno processi, bensì si discute dei problemi per cercar di risolverli insieme), ma mi pare che tu stia anteponendo una tua specifica esigenza al benessere del bambino. Se proprio non puoi arrivare prima di quell’ora, dovrà occuparsi qualcun altro di metterlo a letto per te e, eventualmente, dedicherai altro tempo di qualità in altri momenti della giornata o persino in altri giorni, no? 😉

  2. Alessio Brambilla 12 aprile 2013 a 11:02 #

    Molto interessante a riguardo, l’intervista alla CEO della Xerox. Avrebbero potuto chiamare l’articolo come questo post!
    http://blogs.wsj.com/atwork/2013/03/20/xerox-ceo-ursula-burns-has-advice-for-ambitious-women/
    Nell’intervista in particolare trovo “interessante” l’idea che si debba sposare un uomo più vecchio in modo che lui si possa occupare delle questioni familiari (la signora forse non ha capito che madre e padre hanno due ruoli diversi nell’educazione) e la frase riguardo il fatto che perdersi qualche (tutti?!) evento dei figli non faccia loro così male, d’altra parte sua mamma si è persa molti dei suoi eventi extracurricolari. Insomma l’esemplificazione della “catena di Elettra”.

    • @VaeVictis 12 aprile 2013 a 14:48 #

      Eh già: è vero che si ritrova in modo palese la maledetta catena generazionale… Tuttavia non è tutto sbagliato ciò che dice. Lei si è data un progetto di vita, che comprende anche un progetto per la famiglia; quasi nessun genitore che mi è capitato di osservare ha un vero e proprio progetto per i figli: fanno tutto un po’ a caso o per tradizione, per convenzione, per idee soggettive. In questo senso, dal punto di vista educativo, Ursula Burns è avanti di cent’anni.

      Inoltre è importante sottolineare che non è tanto quanto tempo si passa coi figli, bensì come lo si passa. Insomma la qualità del tempo speso coi figli è senz’altro più importante della quantità. Ora però stiamo trattando la CEO di Xerox, una donna d’eccezione; evidentemente lei è stata bravissima a organizzarsi e a gestire al meglio la cosa: non la prenderei però come esempio di uno standard né in positivo né in negativo.

  3. Leonardo 12 aprile 2013 a 14:28 #

    Verissimo che nel resto del mondo si è pagati per 8 ore e si lavora 8 ore. Solo in Italia esiste questa cultura masochistica che io ho sperimentato, per fortuna, solo per un periodo limitatissimo

    • @VaeVictis 12 aprile 2013 a 18:39 #

      Attenzione: in Italia si sta in ufficio 8 ore; se una persona lavora in modo organizzato e concentrato, è molto difficile che dopo 4-5 ore sia ancora efficiente. I Finlandesi vanno a casa dopo 6 ore e hanno fatto tutto quello che serve; qui da noi… e vabbe’. C’è però da dire che siccome la nostra produttività grazie all’euro è andata a farsi friggere, ormai per portare a casa uno stipendio decente servono gli straordinari (ma di gente che lavora sul serio, però).

  4. Fran's Fun Lab 12 aprile 2013 a 14:45 #

    Bravo, bravo, BRAVO, Bruno. Condivido in pieno tutto quello che hai scritto. E sono una giovane libera professionista mamma di due bambini piccoli. Il “gioco degli incastri” a cui mi dedico quotidianamente (Tetris mi fa un baffo!!!!) è durissimo, ma incredibilmente appagante, sia per me che per loro. Certi giorni sono davvero stremata, ma vedere la gioia negli occhi di mia figlia di 4 anni solo perché sono riuscita a organizzarmi in modo da andare a prenderla proprio io a scuola, ripaga di tutto. Non solo oggi, ma, ne sono certa, anche fra tanti anni.

    • @VaeVictis 12 aprile 2013 a 18:00 #

      Ma infatti! E scommetto che tu, alla fine della giornata sei stravolta, ma è una stanchezza sana, da sonno profondo. Invece la gente che non si organizza la riconosci subito perché ripete continuamente: “Sono stanco!” In realtà quella non è stanchezza bensì insoddisfazione e noia. In quei casi manca un progetto, un’organizzazione del tempo e delle priorità.

  5. simo1978 12 aprile 2013 a 15:22 #

    non sempre però il “lavorare troppo” è una scusa o un alibi. A volte bisogna lavorare e fare straordinari per riuscire ad arrivare a fine mese…..

    • @VaeVictis 12 aprile 2013 a 17:55 #

      Però quando si è in due ci si può sempre organizzare. C’è poi anche l’alternativa di andarsene via dall’Italia… Mi rendo conto che vi siano situazioni difficili, ma cominciamo a risolvere quelle che difficili non solo e dipendono esclusivamente dalla volontà: ti garantisco che ne vedo a centinaia.

  6. Dario Vignali 13 aprile 2013 a 18:49 #

    Sono passato di qua 😉

  7. Michele Liuzzi 5 ottobre 2015 a 15:33 #

    Ho letto l’articolo

  8. Marco 27 dicembre 2017 a 17:01 #

    Ottimi suggerimenti. Non credo che il ripetuto riferimento al project manager sia d’aiuto. È come dire a qualcuno ” lei ha chiaramente il vaiolo. Creda a me che faccio il meccanico di professione” capisco che ci sono dei nessi con la sua professione. Ma allora ci sono anche col meccanico

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