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Esiste una vita dopo la morte?

25 Nov

Tranquilli, non ho fumato roba [troppo] pesante. Mi dite: «Ma che c’entra con la Catena di #Elettra?! Non si parla di morte dove ci sono bambini!»

C’entra, c’entra!

Il fatto è che la vita dopo la morte siamo tutti noi, quando i nostri genitori se ne vanno. Siccome avete studiato #Elettra e ormai siete dei guru dell’educazione, scommetto che avete già capito dove voglio arrivare.

In fondo questo blog, pur se scritto da un rigido agnostico, dimostra che certi princìpi tramandati da molte religioni sono veri. Uno di questi sostiene che l’anima sopravvive alla morte. Io ho un mio concetto di anima, un concetto che oggi si definirebbe advanced.

Universalmente riteniamo che l’anima sia la parte vitale e spesso spirituale di un essere vivente. Estenderei questa definizione all’essere individuale, finendo per suggerire che l’anima include il nostro stile, il nostro modo di porci al mondo, il nostro carattere.

Le nostre emozioni.

Il sentimento.

Ora ascoltate questo (per i diversamente musici).

 

Oppure questo (per i musici più scafati).

 

O ancora questo (per i Musici – stavo per usare una metafora sessista).

 

Avete capito che cos’è l’anima? E perché sopravvive?

A questo punto, tutto ciò che avete studiato su #Elettra v’induce a considerare che una parte consistente dell’anima dei nostri genitori è sopravvissuta in noi. E, Peano alla mano, anche una parte dell’anima dei nostri nonni, bisnonni eccetera.

Quindi come vorrete comportarvi d’ora in poi? Studierete e metterete in pratica queste pagine, o no?

Quale parte della nostra anima desideriamo – in un trionfo d’umano egoismo – che sopravviva nei nostri figli, nei nostri nipoti, nella Storia? Be’, sappiate che possiamo scegliere: se il nostro atteggiamento coi nostri figli sarà positivo; se – sfruttando questo manuale virtuale – cercheremo di ridurre al minimo gli errori educativi; se sapremo amare bene, allora sopravviverà la parte migliore di noi.

Il nostro ricordo non sarà quello che i nostri cari esprimeranno in un freddo giorno d’un novembre uggioso, bensí coinciderà con l’anima dei nostri figli e nipoti.

E allora potremo davvero dire che non siamo mai morti. Siamo solo diventati più giovani.

I nonni (et al.): risorsa o problema?

27 Giu

Ricevo email e messaggi privati in Twitter e Facebook; in essi mi si chiedono opinioni e consigli. Io vi ringrazio di cuore dell’interesse e soprattutto della fiducia, ma ritengo che sarebbe utile che pubblicaste i vostri dubbi fra i commenti degli articoli nel blog perché così tutti ne beneficerebbero; oltretutto avreste molta più probabilità di ottenere una risposta ragionata e critica, frutto della vostra personale elaborazione di molteplici informazioni: la mia singola opinione non è certamente scevra di errori…

Un tema ricorrente nei vostri messaggi è la funzione dei nonni (ma anche zii, parenti, amici stretti di famiglia) nell’educazione dei piccoli. Vediamo insieme quale può essere una mia risposta breve e schematica, in base a ciò che abbiamo elaborato in queste pagine.

«Gammel mann holder liten gutt i hånden» (Gustav Vigeland) nel Vigelandsparken a Oslo

«Gammel mann holder liten gutt i hånden» (Gustav Vigeland) nel Vigelandsparken a Oslo

I nonni sono una risorsa preziosa, senza ombra di dubbio. Abbiamo pochi mezzi a disposizione: pochi soldi e poco tempo (a volte, purtroppo, anche poca propensione alle manifestazioni affettive); così i nonni sono diventati i baby-sitter per eccellenza. Affidabili, precisi, persone che indubbiamente hanno già allevato almeno una generazione di pargoli. Ma è tutto oro quel che luccica? Tornando all’introduzione de «la Catena di #Elettra», il primo dubbio che mi viene in mente è sulla questione se i nonni abbiano commesso errori reiterati nell’educare voi stessi genitori e soprattutto se essi abbiano elaborato correttamente i “risultati”. Se erano nonni del tipo «un’urlata ogni tanto fa solo bene», forse prima di affidar loro i nostri pargoli è opportuno verificare se i nostri genitori o suoceri abbiano capito che conseguenze porti la violenza verbale e se si siano convinti ad abbandonare tale “metodo”.

Per molti di noi la presenza dei nonni ha costituito l'unica esperienza di «famiglia allargata».

Per molti di noi la presenza dei nonni ha costituito l’unica esperienza di «famiglia allargata».

Qual è il succo del discorso? Se avete un vostro progetto educativo in famiglia [1], è opportuno che ne rendiate partecipi i nonni e che questi lo condividano (leggi: lo accettino e s’impegnino ad applicarlo) in toto. Parlandone con loro potreste ottenere preziosi consigli cui non avevate pensato: potete confrontarli con ciò che è scritto in queste pagine; potete decidere se accettarli o meno, se integrarli o meno nel vostro progetto. Alla fine, però, esso dev’essere consolidato e condiviso da tutti.

Se i nonni pensano che i NO possano diventare sì, forse è opportuno che ne discutiate con loro e strappiate la promessa (la cui messa in pratica verificherete poi sul campo) che nessun NO diventerà MAI sì. Se non lo fate, nella mente dei vostri piccoli tale situazione creerà grande confusione nonché la consapevolezza che le regole si aggirano facilmente, a patto di cambiare interlocutore. Fra l’altro, ciò è esattamente quello che avviene quando i due genitori stessi non sono d’accordo fra di loro sul progetto educativo: la mamma dice no -> il bimbo va dal papà che dice sì -> la regola è aggirata.

La mia compagna delle elementari Caterina, cresciuta a Milano, non sembra gradire troppo l'esperienza bucolica; in realtà nonni con uno stile di vita completamente diverso dal nostro può costituire una preziosa opportunità educativa per i nostri bambini.

La mia compagna delle elementari Caterina, cresciuta a Milano, non sembra gradire troppo l’esperienza bucolica che nonno Pietrino le somministra; in realtà parenti e amici con uno stile di vita completamente diverso dal nostro possono costituire una preziosa opportunità educativa per i nostri bambini.

Stile di vita e carattere dei nonni non costituiscono certamente un problema; anzi, educano il bambino alla cultura della diversità e della tolleranza; tuttavia non transigete, non spostatevi di una virgola sul progetto educativo, che è il frutto più prezioso della vostra squadra-famiglia. Se i nonni proprio non riescono o (più spesso) non vogliono accettare le regole che avete concordato, allora, consiglio mio, tenete i vostri figli a debita distanza. Lasciate certamente che i vostri bambini frequentino i nonni, ma fate sì che ciò avvenga sempre in vostra presenza. Non lascerei qualche settimana mio figlio a mia madre se sapessi che, al ritorno, dovrei compiere un’opera di “rieducazione” a quelli che sono i valori e le regole che la mia famiglia (mia moglie, i miei figli e io) condivide.

Se i nonni adottano un progetto educativo diverso dal vostro, essendo essi stessi riferimenti potenzialmente forti, [2] rischierete di ritrovarvi figli confusi, ambigui e (ormai lo sapete che il bambino confuso perde serenità) infelici: ogni passaggio da voi ai nonni o viceversa diventerebbe un trauma per i vostri figli, per voi e pure per i nonni; meglio quindi evitare il triplice fastidio.

PS: Superfluo aggiungere che quanto detto per i nonni vale per gli zii, i parenti e gli eventuali amici stretti di famiglia; insomma chiunque possa costituire riferimento forte per i nostri bambini.

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[1] Failing to plan is planning to fail. Come per ogni compito di ampio respiro, l’educazione dei vostri bambini deve costituire un progetto, proprio di quelli pianificati a tavolino. Riunitevi col vostro partner, concordate le regole che hanno valore per voi e applicatele con coerenza, così come avevo raccomandato qui. Nelle pagine de «la Catena di #Elettra» troverete molti spunti di riflessione per la costruzione del vostro specifico progetto educativo.

[2] Con tutta probabilità, per questioni anagrafiche i nonni sono ben più consapevoli di voi del concetto di ruolo.

Passeggino o sedia a rotelle?

12 Giu

Nell’articolo sul Carrello della Spesa ho anticipato (leggi: minacciato) che avrei affrontato la questione del passeggino che un po’ troppi genitori italiani sembrano trasformare in “sedia a rotelle”, disabilitando così l’autonomia dei propri figli non più piccolissimi e inviando “un messaggio piuttosto fastidioso a quelli che purtroppo sono veri disabili“. [1] Ho tuttavia dovuto prima concludere un breve sondaggio ad hoc sugli usi e costumi di mamme e papà nostrani in tema di trasporto dei propri pargoli. Tale rilevamento mi è servito a comprendere meglio la dimensione di un fenomeno tutto italiano (è un modo di dire: in realtà, limitandoci all’Europa, è almeno anche un caso spagnolo), che influisce negativamente sull’autonomia dei più piccoli. Ora lo condivido con voi, assieme ad alcune riflessioni.

L’idea del sondaggio mi è venuta in mente durante l’ultimo viaggio in Romania, un Paese in cui, almeno nelle regioni di Transilvania e Moldova, ho potuto osservare comportamenti davvero virtuosi da parte dei genitori locali nei confronti dei bambini (tutti i bambini, non solo i propri figli): sono amorevoli ma non stucchevoli; li proteggono [2] ma non li ossessionano con le loro paranoie; li rendono rapidamente autonomi ma senza abbandonarli a se stessi. Insomma in Romania da sempre osservo una cultura pedagogica positiva, spontanea, omogenea, diffusa trasversalmente in ogni ceto; tanti anni fa collaborai a un mini-club di un villaggio turistico internazionale: ecco, trovo che l’atteggiamento dei Rumeni verso i bambini sia molto simile a quello francese, da me già citato più volte come modello virtuoso in un Paese sviluppato.

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L’uso del passeggino in Romania ed Europa

La mia cognatina Szonia

La mia cognatina Szonia

Quando raccontai alle mie due cognatine rumene di 10 e 13 anni che molti genitori italiani portano bambini di 4-5 anni nei passeggini, esse, manifestando uno stupore che dovrebbe mettere in allarme le mamme e i papà nostrani, mi proposero di valutare la distribuzione anagrafica dei bambini rumeni nei passeggini e, con grande entusiasmo, mi aiutarono nel compito (due volte educativo, a quanto pare).

La mia cognatina Natalia

La mia cognatina Natalia

Il risultato fu sorprendente: su 100 bambini, 100 (tutti!) mostravano al massimo 12-14 mesi: nelle zone in cui Natalia e Szonia mi aiutarono nella pur dilettantesca operazione statistica, in pratica, sembra che nessun genitore rumeno trasporti nel passeggino bambini in grado di camminare da sé; perciò in Romania il passeggino è considerato come un mero ausilio che permette al genitore di portare comodamente il piccolo con sé quando questi non è ancora in grado di camminare.

Avendo lavorato 13 anni in Europa, mi sento ragionevolmente sicuro di affermare che la situazione rumena è del tutto analoga a quella del resto del continente, fatta una palese eccezione per la Spagna, dove troppo spesso ho potuto osservare bambini in “sedia a rotelle” persino in età scolare!

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L’uso del passeggino in Italia

Tornato in Italia dal viaggio rumeno, mi sono dilettato a sondare la situazione locale ed ecco che cosa ho scoperto.

Distribuzione per fasce d'età dei bambini osservati nei passeggini.

Distribuzione per fasce d’età dei bambini osservati nei passeggini.

Qualche nota metodologica:

  1. Questi numeri non hanno valore statistico perché il campione è esiguo, però aiutano a farsi un’idea e, fra l’altro, suggeriscono che bisognerebbe procedere a un sondaggio approfondito e statisticamente più significativo.

  2. In verde, l'area rumena in cui abbiamo condotto il sondaggio sull'uso del passeggino.

    In verde, l’area rumena in cui abbiamo condotto il sondaggio sull’uso del passeggino.

    Le osservazioni sono state condotte dal 1° maggio al 2 giugno 2013 in varie cittadine delle regioni rumene di Transilvania e Moldova, nonché in alcune località del Norditalia, fra cui Milano, Borgomanero e Orta San Giulio (NO), Como, Cittadella (PD).

  3. L’età dei bambini è stata determinata in modo esclusivamente euristico: nessuno di noi l’ha espressamente chiesta ai genitori; c’è però da dire che tutti noi (Natalia e Szonia comprese) abbiamo avuto a che fare con tanti bambini e siamo in grado di determinarne a grandi linee l’età, almeno per gli scopi che un sondaggio amatoriale si prefigge.

  4. I valori dell’età sono ovviamente indicativi; in particolare, per “Meno di 1 anno” intendo un campione di bambini che mostrano meno di 12-15 mesi, cioè probabilmente non ancora in grado di camminare in modo sicuro.

  5. Le osservazioni si riferiscono a bambini seduti nei passeggini, non a quelli in culla o comunque sdraiati.

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Considerazioni sull’abuso del passeggino

In Romania sembra impossibile osservare nei passeggini bambini in grado di camminare autonomamente.

In Romania sembra impossibile osservare nei passeggini bambini in grado di camminare autonomamente.

Come ho specificato, questi dati non hanno rilevanza statistica, ma, in un contesto “di tutti i giorni” e non specialistico come quello de «la Catena di #Elettra», sono utili per avviare qualche ragionamento. Abbiamo visto che in Romania (e in quasi tutt’Europa) ai bambini viene tolto il passeggino non appena essi siano in grado di camminare stabilmente e in modo sicuro: ho potuto spesso osservare e ammirare l’amorevole dedizione e pazienza di quei genitori, che evidentemente dedicano tempo di qualità adeguato ai bisogni educativi della propria prole.

Se consideriamo che in media i bambini vengono posti seduti sul passeggino intorno ai sei mesi d’età, è chiaro che il campione osservato di 36 bambini italiani di meno di un anno va pesato per metà di un anno, così come i campioni che si riferiscono a due anni consecutivi vanno pesati per due anni. Qualche breve calcolo porta alla seguente distribuzione che rappresenta, per ogni fascia d’età dei bimbi, quanti genitori decidono di smettere di trasportarli nel passeggino.

Percentuali di genitori che decidono di togliere il passeggino ai propri figli, distribuite per fasce d'età.

Percentuali di genitori che decidono di togliere il passeggino ai propri figli, distribuite per fasce d’età.

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Conseguenze dell’abuso del passeggino

Prima di commentare i dati, vorrei esprimere qualche considerazione sul passeggino, un ausilio che, se adoperato in modo improprio, può produrre conseguenze gravi sullo sviluppo psicofisico del bambino. Chi ha letto l’articolo sul Carrello della Spesa avrà già un’idea abbastanza chiara di una parte di esse; di seguito cito due passaggi significativi, adattandoli al contesto.

Il passeggino è uno strumento d’insulto nei confronti del bambino. A meno che il nostro pargolo non rientri nelle categorie per le quali tale strumento è certamente idoneo (cioè sia piccolissimo o, purtroppo, disabile), imporre un mezzo costrittivo al bimbo limita la sua autonomia e il suo sviluppo psicofisico perché: 1) gli impedisce di esplorare da solo il mondo che lo circonda; 2) non gli permette di partecipare alle attività della squadra-famiglia; 3) gli racconta di noi che non ci fidiamo di lui; che ben sappiamo che se lo lasciassimo libero, comincerebbe a scorrazzare a destra e a manca; leggi: tenderebbe a comportarsi come un bambino normale; che lo consideriamo un bambino di un anno; che siamo genitori deboli, incapaci di educare: sta difatti a noi e al nostro ruolo – non al passeggino! – educare il bimbo a rispettare regole di base, come quella di non allontanarsi in modo pericoloso e incontrollato; 4) Se poi il bimbo ha addirittura 4-5 anni, il passeggino lo rende ridicolo agli occhi degli altri bambini: il genitore mostra così davvero scarso rispetto per il proprio figlio.

È lo specchio del proprio egoismo perché ogni occasione di vita quotidiana vissuta insieme col bambino deve costituire un’opportunità educativa: anche questo principio rientra nel ruolo del genitore. So bene che è molto comodo mettere il guinzaglio al bimbo perché così non correrà in giro, non toccherà tutto e non necessiterà del nostro fermo intervento in caso di pericolo (cioè, come ho scritto sopra, perché così non potrà essere bambino). Ma so anche che è pigrizia e miopia quella del genitore che non si sofferma a escogitare come trasformare una passeggiata di piacere o di necessità in un’occasione educativa per il bambino. È pigrizia e miopia quella del genitore che, per propria comodità, non concede i giusti tempi al bambino perché questi possa far da sé ed esplorare il mondo in modo diretto e guidato dalla propria curiosità.

A questi due passaggi aggiungo un punto importante: il bambino cui non è permesso di camminare con le proprie gambe diventa presto irrequieto, infelice (perché il movimento è una potente valvola di sfogo) oppure semplicemente pigro e quindi più facilmente obeso; cioè il genitore che non educa il figlio a muoversi al più presto con il solo ausilio delle proprie gambe finisce quasi sempre per esporlo a frustrazione e/o a rischi a lungo termine per la sua salute. Si può persino affermare che, in alcuni casi, il genitore prepara la morte precoce del figlio: il sovrappeso e l’obesità, lo ricordo, causano patologie gravi come quelle cardiovascolari, il diabete e il cancro, oltre a vari disturbi fisici e psicologici.

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Analisi dei risultati

Torniamo ai dati. Dai numeri dell’ultima tabella deduciamo quindi che:

  • Fortunatamente, [3] la maggior parte dei genitori italiani denotano un comportamento virtuoso per quel che riguarda l’autonomia dei propri figli, quando questa si vuole esprimere attraverso l’uso di uno strumento – il passeggino – che tale autonomia inevitabilmente limita. Insomma, il 60% dei genitori italiani adoperano il passeggino per quel che è: un utile ausilio per chi ha bambini non ancora in grado di camminare; non appena essi sono sicuri sulle loro gambe, il passeggino viene riposto in cantina. Chiamerò questi genitori “virtuosi” o di classe A.

  • Più di un genitore italiano su quattro (27%) limita moderatamente l’autonomia dei propri piccoli imponendo il passeggino per qualche tempo dopo che essi hanno cominciato a camminare. Come abbiamo visto, esistono comportamenti più virtuosi, certamente in questi genitori è più intenso il bisogno della propria comodità, ma non mi sento di ritenere che possano causare danno ai propri piccoli, specie se questo è l’unico comportamento “meno virtuoso” che essi mettono in pratica. Diciamo che sono genitori di classe B.

  • Un bambino italiano di 3-4 anni nel passeggino: la situazione è oltretutto ridicola perché non ci sta proprio!

    Un bambino italiano di 3-4 anni nel passeggino: la situazione è oltretutto ridicola perché non ci sta proprio!

    Tredici genitori su cento manifestano comportamenti poco virtuosi e probabilmente inficiano l’autonomia dei propri piccoli, specie se, alla forzatura del passeggino, affiancano ulteriori atteggiamenti di sostituzione (il genitore si sostituisce al bambino). Sospetto che ciò ineluttabilmente accada, perché l’uso del passeggino a danno di bambini di 3-5 anni è spesso spia di scarsa consapevolezza dell’importanza del rendere autonomi i figli, o peggio è segno del bisogno patologico da parte del genitore di sentirsi importante, riconosciuto, perché altri dipendono da lui.

  • Bambina di almeno 4 anni (forse 5?) in passeggino; con questo gesto, i genitori le stanno comunicando: "Sei soltanto una bambina di un anno."

    Bambina di almeno 4 anni (forse 5?) in passeggino; con questo gesto, i genitori le stanno comunicando: “Sei soltanto una bambina di un anno.”

    Dei tredici qui sopra, nove (poco meno di uno su dieci) sono genitori disabilitanti (nel senso che non abilitano l’autonomia naturalmente richiesta dal bambino: classe C) e quattro (un genitore su 25) sono fortemente disabilitanti (classe D): si tratta d’inconsapevolezza (ignoranza) del danno che stanno producendo o, in qualche caso, di questioni meramente patologiche che il genitore (e forse a questo punto anche il figlio) dovrebbe affrontare con l’ausilio di un professionista. Un bambino normodotato di 4-5 anni nel passeggino costituisce una visione oggettivamente disturbante nonché ridicola (il più delle volte non ci sta nemmeno dentro) e, per il bene del bimbo, invito a farlo notare al genitore, così come faccio spesso io.

Aggiungo un’informazione “collaterale” ma significativa: avvicinandoci ai bambini nelle situazioni espresse dalle classi C e, ancor più, D, spesso ho osservato evidenti carenze di linguaggio e comportamenti ascrivibili a bimbi molto più piccoli. La situazione-tipo è il bambino di 4 anni nel passeggino, col biberon in mano e la faccia scazzata, che si esprime con un linguaggio poco più avanzato della lallazione. Credetemi, cazzo: sono bambini del tutto normali e intelligenti, ma mantenuti piccoli da genitori che fan loro credere di avere ancora un anno!!!

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Come s’inquadra in #Elettra l’abuso del passeggino

Ho introdotto la classificazione A-D non perché essa racchiuda un qualche valore scientifico o giudizio etico, bensì perché ritengo che possa tornare utile nella categoria del disconoscimento che sto per affrontare. L’uso inadeguato del passeggino è chiaramente un comportamento disconoscente nei confronti del bambino, nel senso che non gli riconosce l’autonomia che il genitore deve gradualmente concedere al bimbo in certe attività naturali, non appena questi è in grado di gestirle da sé (es. camminare). Più precisamente si tratta di un comportamento sostitutivo (il genitore fa per conto del bimbo qualcosa che dovrebbe lasciar fare a lui): presto affronteremo in dettaglio questi errori educativi che si prefigurano come un vero e proprio insulto a uno dei cinque pilastri educativi: il rispetto [del bambino come individuo autonomo e diverso da noi].

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[1] Commento sarcastico di un mio conoscente disabile in carrozzella.

[2] La società rumena, come molte comunità del Centro-Nordeuropa, vigila spontaneamente sui bambini; sono molti i piccoli che circolano da soli o a piccoli gruppi per le cittadine rumene, così come avviene in Svizzera, Germania eccetera, e come avveniva da noi una trentina d’anni fa (altro spunto riflessivo sulla situazione dell’autonomia dei bimbi italiani). In caso di pericolo, chiunque interviene senza remore per difendere l’incolumità dei bambini; ciò in Romania è oltretutto essenziale, visto il significativo numero di rapimenti che affligge il Paese.

[3] L’osservazione costituisce per me un sollievo perché personalmente ero convinto che i genitori “virtuosi” fossero una minoranza o comunque in numero inferiore rispetto a quello prodotto dal sondaggio. A tal proposito, è utile condurre simili rilevamenti perché la nostra mente è spesso meno oggettiva di ciò che i numeri dicono. Il fatto è che si tende a osservare più spontaneamente una condizione che noi consideriamo degna di attenzione (in quanto, in questo caso, negativa). Ciò spiega anche perché molte persone sono convinte di vedere dappertutto, per esempio, il proprio «numero fortunato»: semplicemente tendono a osservare maggiormente proprio quel numero. 😉

Avviso alla “clientela”

13 Mag

Cari lettori, come ho scritto nelle avvertenze, su «la Catena di #Elettra» si ragiona fra persone di tutti i giorni delle cose di tutti i giorni. Qui non ci sono pediatri, pedagogisti, psicologi che devono mantenere un atteggiamento professionale di tolleranza nei confronti delle diversità di pensiero (specie quelle non rette da adeguato supporto scientifico, vedi la grottesca questione dei vaccini) e culturali (ignoranza); più prosaicamente, qui non si intende conservare a tutti i costi la “clientela”.

I lettori che apprezzano questo blog (grazie!) e il sottoscritto sono pienamente coscienti dei danni permanenti che molti, troppi genitori italiani provocano a piccoli innocenti in conseguenza di comportamenti ritenuti innocui con una superficialità che rasenta il delitto. Il “Ma figurati, che cosa vuoi che succeda se lo porto in passeggino a 5 anni!” qui non è tollerato. Chi apprezza «la Catena di #Elettra» sa perfettamente che molti italiani stanno tirando su in modo colpevolmente inconsapevole una generazione di normodotati inabili alla vita.

Qui non si fa autopromozione e non troverete l’atteggiamento accondiscendente che permea quasi tutti i blog sull’argomento (“Molti genitori preferiscono far dormire il bimbo nel lettone.” – Già, alcuni di questi, poi, preferiscono ucciderlo per soffocamento): non sono pagato per questo lavoro, non ci guadagno nulla se non parecchi insulti e la soddisfazione di far qualcosa di concreto, nel mio piccolo e nella limitatezza dei miei mezzi, per migliorare le condizioni dell’infanzia (e della società adulta) italiana; in cambio ricevo anche l’affetto dei comunque tanti lettori che condividono le mie idee sull’importanza d’interrompere i flussi di negatività, talvolta criminale, che attraversano le generazioni.

Ho scritto recentemente che mi fanno ridere (leggi: ribrezzo) quelle mamme che si stracciano le vesti contro il «femminicidio», tanto di moda ultimamente solo ed esclusivamente “grazie” ai media, ma poi non esitano a urlare e sculacciare i loro “adorati” pargoletti maschi perché “Ma che vuoi che faccia un ceffone dato al momento giusto!?” La debolezza di pensiero logico ed emotivo di queste persone e soprattutto la loro totale indisponibilità a soffermarsi su una seria riflessione mi convincono che questi individui non meritino il vostro e il mio tempo, le vostre e le mie argomentazioni. Intimamente sono convinto che personaggi di questo stampo che non leggono, se leggono non capiscono e se capiscono comunque non cambieranno mai idea, andrebbero allontanati dalle loro piccole vittime e piango per queste ultime al pensiero che né voi né io potremo far nulla per impedire tale scempio.

Albert Einstein (1879-1955)

Albert Einstein (1879-1955)

Tuttavia sono anche consapevole di un fatto altrettanto importante: molte persone riflessive e moderate che, senza intervenire della discussione, leggono le imprese di quegli scellerati si formano un’opinione decisamente ragionevole sui metodi educativi e imparano presto a individuare e mettere in pratica quelli validi. Lo testimoniano i molti messaggi che privatamente ricevo ogni giorno: ecco, queste sono le persone che mi motivano a proseguire in questo difficile cammino che, lo sospettavo, mi mette contro tanta faciloneria, tanta superficialità… in una parola purtroppo intramontabile, tanta stupidità.

Bimbi nel lettone? No grazie!

11 Mag

Sorprende che un oscuro ingegnere senta l’esigenza di rispondere a uno dei medici più noti a livello internazionale su un argomento più prossimo a lui che a me, ma quando ce vo’, ce vo’… L’articolo incriminato, trasmessomi gentilmente dal mio twittamico Luca Primavesi (@LucaPrimavesi), che ringrazio, ha per argomento il solito bimbo nel lettone e potete leggerlo qui.

Ora, cari lettori, voi potete liberamente liquidare queste mie parole come le farneticazioni di un incompetente che pretenderebbe d’insegnare il buon senso di tutti i giorni a un luminare, ma intanto dovremmo verificare se anche l’Umberto Veronesi «padre di sette figli» non sia affetto da quell’alibi del lavoro che impedisce a molti di vivere il buon senso delle cose di tutti i giorni, almeno in famiglia…

A bomba, non sono per nulla d’accordo. Lasciar dormire il bimbo nel lettone è:

  1. pericoloso perché il genitore che si addormenta rischia di schiacciare o soffocare il piccolo, come purtroppo la cronaca c’insegna (qui, qui, qui, qui e qui). Cronaca a parte, uno studio pubblicato dal British Medical Journal il 20 maggio 2013 dimostra che i bimbi che dormono nel lettone hanno probabilità cinque volte superiore di morire di SIDS.

  2. diseducativo perché il bambino non impara fin da piccolissimo che esistono spazi privati da rispettare (e tralasciamo le conseguenze sull’intimità della coppia);

  3. dannoso perché può creare dipendenza e intimità morbosa coi genitori.

Il bambino deve dormire sempre nel suo letto e, appena possibile, nella sua stanza. Al più, quand’è piccolissimo si può pensare di sistemare il lettino a fianco della mamma, eliminando la barriera rivolta verso il lettone; attenzione però perché anche questa soluzione non è scevra di rischi: dai 5-6 mesi di vita il lattante può infatti «migrare» verso il lettone e finire ancora una volta schiacciato.

L’argomentazione secondo cui nei Paesi più poveri si dorme tutti nel lettone è interessante ma piuttosto discutibile perché difatti se ne vedono il contesto e i risultati sociali…

Inoltre non è del tutto vero che dobbiamo basarci sui nostri istinti: se siamo riservati, facciamo un piccolo sforzo e diventiamo affettuosi col bimbo (con parole e gesti) perché siamo adulti e consapevoli del fatto che il bambino è madrelingua emotivo e non possiamo proprio evitare di comunicare con nostro figlio per colpa di una nostra rimediabilissima debolezza.

GattoInfine, se proprio i genitori non resistono al morboso desiderio di un terzo «corpo caldo da coccolare nel lettone», si comprino un gatto!

Il carrello della spesa

21 Apr

Qualcuno di voi l’avrà sicuramente notato: su Twitter ho creato il sarcastico hashtag #IstruzioniPerlUso, dedicato agli strafalcioni più diffusi che inconsapevolmente si commettono nella lingua italiana; ecco, ritengo che esso possa tornare utile anche per segnalare certi comportamenti quotidiani che risultano del tutto diseducativi nei confronti dei nostri pargoli.

Come oggi, ogni domenica accompagno la mia vecchia madre all’Ipercoop o all’Esselunga e, al di là dello strazio di passare un paio d’ore fra il becero popolo dal quale arcerei [1] molto volentieri, mi trovo a osservare aberrazioni quantitative e qualitative nell’uso che gli umani proledotati sogliono fare del transformer consumistico più temuto dal portafogli degli Italiani: il carrello della spesa. Sappiate che, nella maggior parte dei casi, per i genitori esso costituisce:

  1. uno strumento d’insulto nei confronti del bambino;

  2. una violenza perpetrata ai suoi danni;

  3. lo specchio del proprio egoismo;

  4. una coltura epidemica.

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Lo scopo del carrello

Una bambina di 3-4 anni seduta nel carrello. La madre le comunica il messaggio: "Sei ancora una bimba di un anno, incapace di controllarti." o anche "Sono un genitore debole, incapace di imporre regole."

Una bambina di 3-4 anni seduta nel carrello. La madre le comunica il messaggio: “Sono un genitore debole, incapace di educare e imporre regole.”

Un ingegnere non può che partire dall’ingegneria. I carrelli della spesa sono quasi sempre dotati di seggiolino per bambini. Va da sé che, secondo #IstruzioniPerlUso, il seggiolino serve per accomodare un bambino che altrimenti andrebbe trasportato nel passeggino; i nostri tanto bistrattati ingegneri meccanici, quindi, insieme con gli strateghi dei centri commerciali, hanno pensato di renderci la vita più semplice in quanto, madri-polpo a parte, è più comodo girare con un carrello nelle due mani che con un carrello in una e un passeggino nell’altra.

Ora, il carrello è un sostituto del passeggino e quindi trasliamo la questione al tema successivo: capire a che cosa serve il passeggino. Esso è utilizzato in tutto il mondo civile (tranne quindi in Italia, Spagna e altri Paesi del Sudeuropa) per trasportare in sicurezza e comodità un bambino che ancora non è in grado di camminare in modo stabile e fluido. Sull'[ab]uso che i genitori italiani fanno del passeggino coi bambini dai due anni in su stendiamo per ora un velo pietoso: ci limitiamo a fare osservare che non è esattamente formativo trasportare su sedia a rotelle un bambino normodotato di quell’età e comunque approfondiremo il tema nella categoria del disconoscimento.

Torniamo al carrello, cioè al sostituto commerciale del passeggino. Il seggiolino è progettato per accomodare un bambino in tenera età, che non è in grado di deambulare correttamente; insomma o un piccolo affetto, purtroppo, da handicap fisici o mentali, oppure un pargolo che, per questioni anagrafiche (12-18 mesi), mostra un incedere ancora instabile e insicuro. Malgrado ciò, spesso il seggiolino del carrello accomoda i disturbi mentali che, chissà perché, certi genitori desiderano ardentemente trasmettere ai propri figli, e quindi a tutti noi perché, ricordiamolo, «I bambini non sono proprietà dei genitori, bensì bene pubblico», proprio come un autobus di linea o la pensione sociale. Costringere un bambino sano e capace all’immobilità, o persuaderlo con le proprie azioni di essere incapace di camminare (perché è questo il messaggio che gli si passa), è come mettere lo zucchero del carburante dell’87 o lasciare una povera vecchietta senza cibo né acqua. Insomma, un bambino di due anni è già largamente in grado di camminare da solo e trasportarlo nel seggiolino di un carrello della spesa è un insulto alla sua intelligenza e alle sue capacità.

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L’abuso del carrello

Dicevamo: il carrello è uno strumento d’insulto nei confronti del bambino. A meno che il nostro pargolo non rientri nelle categorie sopra esposte (cioè sia piccolissimo o disabile), imporre un mezzo costrittivo al bimbo limita la sua autonomia e il suo sviluppo psicofisico perché: 1) gli impedisce di esplorare da solo il mondo che lo circonda; 2) non gli permette di partecipare alle attività della squadra-famiglia; 3) gli racconta di noi che non ci fidiamo di lui; che ben sappiamo che se lo lasciassimo libero, comincerebbe a scorrazzare per gli scaffali demolendo mezzo supermercato; che lo consideriamo un bambino di un anno; che siamo genitori deboli, senza ruolo, incapaci di educare, imporre e far rispettare regole banali.

Scene diseducative come queste sono piuttosto comuni nei supermercati. L'altro signore sembra voler mostrare il proprio disappunto alla poco edificante visione.

Scene diseducative come queste sono piuttosto comuni nei supermercati. L’altro signore sembra voler mostrare il proprio disappunto alla poco edificante visione.

È una violenza perpetrata ai suoi danni. Un bimbo di quattro anni infilato nel seggiolino del carrello, o peggio ancora inserito nel carrello stesso come se questo fosse un box-giochi, è in pericolo perché il carrello non è progettato per quello scopo (per quella distribuzione di peso) e il peso del bambino, specie a carrello vuoto, può far ribaltare il tutto; nel caso del bambino nel carrello-box-giochi, è ancora peggio perché i bordi non sono sufficientemente alti e ho già potuto osservare bimbi con bozzi paurosi sulla testa, grazie ai loro genitori incoscienti.

È lo specchio del proprio egoismo perché ogni occasione di vita quotidiana vissuta insieme col bambino deve costituire un’opportunità educativa: ciò rientra precisamente nel ruolo del genitore. So bene che è molto comodo mettere il guinzaglio al bimbo perché così non correrà in giro e non toccherà tutto, vale a dire perché così non potrà essere bambino. Ma so anche che è pigrizia e miopia quella del genitore che non si sofferma a escogitare come trasformare un’attività monotona e a volte stressante come la spesa, in un’occasione educativa per il bambino.

Una bambina di 7-8 anni impesta il cesto del carrello con le suole delle scarpe e corre il rischio di farlo ribaltare procurandosi lesioni anche gravi; ma questa mamma così alla moda evidentemente non ne è consapevole... E lasciamo poi perdere il messaggio che la mamma trasmette alla ragazzina: "Tu sei ancora una bambina di un anno e mezzo!"

Una bambina di 7-8 anni impesta il cesto del carrello con le suole delle scarpe e corre il rischio di farlo ribaltare procurandosi lesioni anche gravi; ma questa mamma così alla moda evidentemente non ne è consapevole… E lasciamo poi perdere il messaggio che la genitrice trasmette alla ragazzina: “Tu sei ancora una bambina di un anno e mezzo!”

È una coltura epidemica, un vero e proprio laboratorio batteriologico. A parte il rischio-caduta-e-botta-in-testa prodotto dal tenere il bambino nel carrello a mo’ di box-giochi, tutti i supermercati raccomandano per iscritto di non usare il carrello in quel modo per questioni igieniche. Come dice il mio amico medico riminese, «Quand a truv un ba’ imbezell, al faz caghe’ mados…» Adesso non so a quanti di voi piacerebbe assaporare un innovativo cocktail di valeriana, rucola, pomodori, sale, aceto, olio, piscio, merda, terra, polvere, particolato e metalli pesanti, fra cui due simpatici protagonisti delle nostre più recondite paranoie antinucleariste: il torio e l’uranio [2].

Misura della radioattività in una miniera di uranio in Val di Susa: il contatore Geiger, posto proprio di fronte a un filone uranifero, indica valori molto elevati (valore normale: 0,27 μSv/h).

Misura della radioattività in una miniera di uranio in Val di Susa: il contatore Geiger, posto proprio di fronte a un filone uranifero, indica valori molto elevati (valore normale: 0,27 μSv/h).

Le suole dei nostri bambini, infatti, prima di contaminare il carrello dove riponiamo le nostre asettiche verdure fresche-lavate-disinfettate-con-amuchina-e-asciugate-con-estrema-cura, sono certamente passate per pavimenti di casa, giardini, marciapiedi e strade trafficate. Cari genitori poco convenzionali, se amate la insalate condite con ingredienti che celano il meglio della fisica nucleare o delle più efficaci tattiche batteriologiche volte allo sterminio della specie umana, preparatevele a casa vostra, ma evitate cortesemente di coinvolgere nell’esperimento chi non ne ha colpa… Il bello è che poi magari siete gli stessi che lavano il pavimento col napalm per eliminare, come dice quella pubblicità così eugenetica, «germi e batteri [sic!] che minacciano la sicurezza del tuo bambino!» Ecco, d’ora in poi evitiamo, eh?

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Suggerimenti per una spesa serena

Ora dopo essermi scagliato contro questa pletora di genitori limitanti e cancerogeni [3], propongo qualche idea per meglio gestire la spesa col bambino. Intanto, se cercassimo di farla diventare un gioco di squadra, ne beneficeremmo tutti: il bambino perché si divertirebbe, avrebbe la consapevolezza di contribuire da utile membro della famiglia, migliorerebbe la propria autonomia e sicurezza; il genitore perché non dovrebbe occuparsi di correre dietro al bimbo come una guardia islamica preposta a misurare le ciocche esposte delle iraniane, impiegherebbe molto meno tempo per far la spesa e assolverebbe con successo al suo ruolo di genitore.

Molti supermercati mettono a disposizione della loro piccola clientela carrellini con cui i genitori possono mettere in pratica simpatici giochi educativi che, oltretutto, tengono occupato il bimbo.

Molti supermercati mettono a disposizione della loro piccola clientela carrellini con cui i genitori possono praticare simpatici giochi educativi che, oltretutto, tengono occupato il bimbo.

Poiché ripetiamo spesso che failing to plan is planning to fail, vediamo di far nostro un principio che, credetemi, è efficacissimo e funziona sempre: pianifichiamo prima che cosa faremo dopo. Innanzi tutto presentiamo l’uscita per la spesa con entusiasmo e come un gioco in cui ognuno dovrà fare la sua parte: il genitore si siederà quindi al tavolo col bimbo, un foglio di carta e una penna; quindi redigerà la lista della spesa coinvolgendo il bambino («Dunque… che cosa manca in casa secondo te?» in modo che cominci a rendersi conto di ciò che serve a gestire una casa); infine assegnerà al bambino una propria lista (disegnata, se in età prescolare) di cui sarà interamente responsabile. Ovviamente cercheremo di semplificargli la vita con ricerche alla sua portata; eviterei, per esempio, di far procurare al figlio treenne una magnum di Philipponnat Réserve Royale… Se il bimbo è piccino (3-4 anni), si potrebbe pensare d’includere nella lista 1-2 piccoli acquisti per reparto, in modo che egli ci resti vicino lungo tutto il percorso. Al bambino più grande (7-8 anni) si può pensare di assegnare una lista di acquisti sparsi in tutto il supermercato, in modo da invogliarlo ad arrangiarsi e a capire da solo la struttura del negozio. Ricordo inoltre che molti supermercati (fra cui gli Ipercoop) mettono a disposizione dei piccoli clienti minicarrelli del tutto simili a quelli ben più grandi usati dai genitori: un’utilissima occasione per far sentire il bimbo grande, autonomo e responsabile; sfruttateli!

Le due sorelle rumene Gabriela (grande) e Natalia (piccola) rappresentano a modo loro il risultato educativo di certi tipici genitori italiani...

Le due sorelle rumene Gabriela (grande) e Natalia (piccola) rappresentano a modo loro il risultato educativo di certi tipici genitori italiani…

Credetemi, sono tutte cose che ho visto fare abitualmente in Europa (Spagna esclusa perché il genitore medio iberico, contrariamente al jamón, è ancor peggiore di quello italiano e difatti i recenti sviluppi economici lo dimostrano), nei Paesi del Medio Oriente, in Sudafrica, in America… Insomma le cose sono due: o una nuova genetica vuole che i bambini esteri siano intellettivamente più dotati dei nostri, o più probabilmente dobbiamo rivedere le nostre paranoie ed errate convinzioni che risultano in gravi limiti nello sviluppo dell’autonomia e della crescita psichica dei nostri bambini…

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[1] «Odi profanum vulgus et arceo.» Orazio, Odi, Libro III, Ode I.

[2] Escludendo la contaminazione dalle suole del bimbo incarrellato, a causa della polvere che respiriamo o si deposita sui cibi assumiamo in media ogni giorno da 0,7 a 1,1 μg di uranio!

[3] No, non ho certo timore che, insultandoli, cessino di leggermi: tanto loro mica mi leggono perché non hanno dubbi di essere nel giusto. Loro distruggono la psiche dei loro bimbi nella sicumera che “tanto sono tutte paranoie” o più semplicemente “che cazzo vuole questo qui?!?” o ancora “ma se non ha nemmeno figli?!?” Mi limito a scrivere a beneficio di quelle persone moderate e dotate di senso critico (sono tante, ma non fanno rumore), affinché riflettano e godano di ulteriori spunti educativi cui magari non avevano mai pensato.

La politica di #Elettra

20 Apr

La giornata di oggi sarà ricordata da «la Catena di #Elettra» come spunto efficacissimo per ribadire la validità dei principi qui esposti. Precisamente oggi abbiamo visto:

  1. La supplica. Bambini incapaci di risolvere una situazione in modo autonomo chiamano il papà e lo pregano di agire per conto loro.

  2. L’intrusione tra bambini. Il papà s’immischia nei litigi dei bambini invece di lasciare che essi s’aggiustino fra loro, pur restando eventualmente in osservazione. I bimbi non saranno quindi mai in grado di risolvere problemi da sé.

  3. L’attenzione al capriccio. Il papà, invece di lasciare i bimbi frignare e gestire da sé la frustrazione, interviene e risolve la faccenda. I bimbi non matureranno mai, poiché mai saranno in grado di gestire le proprie emozioni incanalandole in azioni positive.

  4. La sostituzione. Uno degli errori educativi più gravi, che porta al disconoscimento dell’individuo-bambino (ne tratteremo più avanti): «Il papà svolge il compito al posto tuo perché tanto tu non ne saresti capace.» I bambini avranno sempre meno fiducia di sé e sempre meno motivazione a svolgere i compiti assegnati.

ParlamentoOra sono certo che presto vedremo materializzarsi il quinto grave errore educativo, che ho peraltro già illustrato nell’articolo sull’intrusione: il papà, che è già intervenuto decisamente a sproposito nella querelle, non punirà tuttavia in modo equo i figli per il litigio.

Cioè, malgrado questa massa di bambini cialtroni non siano stati in grado di esprimere in cinquantaquattro giorni né un Governo né un Presidente della Repubblica, questi non prenderà la giusta decisione, che sarebbe sciogliere le camere e indire nuove elezioni.

E voi nutrireste ancora fiducia nella capacità della politica italiana di risolvere anche uno solo dei problemi che attanagliano il nostro Paese? Via…

L’alibi del lavoro

12 Apr

Mi sono ripromesso di scrivere di tanto in tanto articoli su argomenti correlati al percorso de «la Catena di #Elettra», anche se al di fuori della struttura logica che, da buon project manager, ho accuratamente pianificato prima di dar vita a questo blog [1]. Lo stimolo può scaturire dai commenti dei lettori, da fatti di cronaca, da osservazioni personali eccetera.

In seguito a commenti, tweet, messaggi personali e fatti della vita di tutti i giorni, ho deciso di cominciare questa sezione “capricciosa” con un argomento davvero spinoso perché porta al conflitto due responsabilità di base dell’essere umano: i figli e il lavoro; è un concetto che ho già introdotto nei primi articoli: l’alibi del lavoro ovvero quella condizione morbosa secondo cui la professione esercitata deve avere la priorità su tutto e tutti.

Laura e Bruno erano i genitori di Paolo; come già detto, lui era un artista e gli era pertanto facile trovar tempo per gestire le cose di tutti i giorni. Bruno si recava quotidianamente al parco col cane per lasciarlo sfogarsi e qui conobbe un altro padrone, un geniale psicologo con cui, mentre i cani si godevano l’agognata ora d’aria, discusse per anni della sua situazione in famiglia. Una domenica Paolo e i suoi genitori stavano pranzando al ristorante, quando Bruno si accorse che lo psicologo sedeva con la moglie proprio nel tavolo a fianco; dopo i convenevoli, il professionista si sedette vicino a Laura e, con l’arguzia che solo un grande stratega è in grado di esprimere, condusse rapidamente il discorso sui temi che a Bruno stavano così a cuore (e ancor più al piccolo Paolo, sebbene allora non ne fosse consapevole): l’assenza della moglie in carriera nell’educazione dei figli, la scarsa emotività positiva da questa manifestata, la dedizione ossessiva al lavoro.

La dialettica dell’abile professionista accompagnò ben presto Laura dallo scetticismo ideologico (“La psicologia è roba da santoni!”) a un rispettoso interesse che si trasformò in silenzio riflessivo di fronte all’inconfutabile verità che lo psicologo le prospettò in sette parole: “Signora, lei ha l’alibi del lavoro!” – intendendo, con ciò, che la professione era in realtà per Laura la scusa più efficace e socialmente convenuta per non assumersi responsabilità che le sarebbero certamente risultate più gravose di ciò che lei, ormai, gestiva sulla punta delle dita; proprio lei che non dedicava mai tempo di qualità al suo Paolo e che mai aveva voluto soffermarsi a riflettere su che cosa sono le emozioni e se fosse o meno opportuno riconoscerle e manifestarle coi figli… E poi: “Tutto ciò che lei sta perdendo ora coi suoi figli, non potrà mai più recuperarlo e un giorno si pentirà amaramente di questo; del suo lavoro non le resterà che qualche spicciolo (metafora non troppo distante dall’attuale «uomo più ricco del cimitero» del geniale Steve Jobs) e quando penserà di godersi i frutti di ciò che lei ritiene di aver prodotto, suo figlio non ci sarà più, sarà in tutt’altre faccende affaccendate, intimamente convinto che con lei, comunque, è stato un gran spreco di tempo.”

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Suggerimenti antialibi

Tutta la storia successiva dimostrò che lo scienziato aveva ragione. Cari lettori, Paolo mi raccomanda di comunicarvi che, in base alla sua esperienza emotiva e di uomo frustrato, insicuro e infelice per colpa della madre:

  • Gli orari di lavoro impossibili ogni santo giorno non esistono: nessuno potrà mai licenziare un genitore perché questi lavora secondo un orario congruo; certamente il genitore non potrà aspirare alla carriera che un impegno orario più prolungato favorirebbe, ma se questo era l’obiettivo, allora non avrebbe dovuto avere figli.

  • Le sequenze di sabati e domeniche di lavoro non esistono; l’impossibilità di pianificare almeno la metà dei tempo (in settimana e nei weekend) insieme coi figli testimonia non la dedizione al lavoro, bensì un disturbo della personalità e/o un crimine verso l’infanzia. Non sarebbe stato forse più semplice e meno dannoso non metterli al mondo?

  • Ai bambini non interessa che mamma e papà lascino un impero o anche solo un gruzzoletto, tutte cose convenzionalmente onorevoli ma precarie, effimere e che oltretutto ostacolano autonomia e autorealizzazione: a loro interessa solo ed esclusivamente l’amore, il rispetto, la coerenza e l’equilibrio di mamma e papà. Eh lo so che queste cose costano tanto, evidentemente più del sacrificio di restare qualche ora in più al lavoro, ma celano un significativo vantaggio: non sono né precarie né effimere e le si portano dentro il cuore fino all’ultimo giorno della nostra permanenza su questo atomo d’universo.

  • Tutto ciò che fa eccezione ai punti sopra esposti si configura senz’appello come alibi del lavoro ovvero l’interesse per la crescita equilibrata dei propri figli scambiato con l’ambizione e il successo personali.

Parafrasando una divertente e veritiera considerazione che si trova in rete, molti si pongono il dilemma se far carriera o aver figli, mentre è dimostrato che si possono fare entrambe le cose senza porsi domande cretine. Bastano organizzazione e buona volontà.

Pertanto, cari genitori tanto attenti (a parole) al benessere psichico dei vostri figli, vorrei aggiungere ai dolori del giovane Paolo lo sguaiato consiglio del rude project manager che ha lavorato sempre all’estero: compriamoci un buon libro di time management e facciamola finita con le solite scuse infantili ché ormai siamo grandi e grossi al punto che se non ci cospargiamo abbondantemente del deodorante dell’ipocrisia, puzziamo come caproni… Nel resto d’Europa la gente lavora 7-8 ore al giorno per cinque giorni la settimana e fa carriera lo stesso. Se la vostra non è inefficienza, allora è semplicemente piaggeria verso il vostro capo (“Eh ma il Roncoglioni è un gran lavoratore perché lo vedo sempre in ufficio!”) o più semplicemente fuga dalle responsabilità (che non si limitano all’azienda). Insomma è l’alibi del lavoro.

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[1] Failing to plan is planning to fail.