Questo articolo costituiva un corpo unico insieme con quello sul rispetto; li ho separati per una maggior facilità di lettura.
Siamo finalmente all’articolo che introduce l’ultimo argomento de «la Catena di #Elettra», così come da pianificazione iniziale del lavoro. Perché proprio in coda? Perché qui tratterò questioni varie e piuttosto complesse, «metodi» posti in atto da molti genitori in modo sottile e inconsapevole: molte azioni “disconoscitive” discendono infatti da malsane tradizioni, usi, da un’obsoleta e deleteria cultura del sopruso scambiata per autorevolezza; parole e gesti cui siamo abituati e di cui non ci percepiamo l’effetto distruttivo. Si pensi ad esempio all’«Io sono tuo padre e quindi tu mi rispetti!” Un’affermazione che addirittura si configura come “Sorpresa di #Elettra”: l’essere padre, di per sé (cioè messa da parte ogni questione etica o religiosa), non comporta una sterile pretesa di rispetto; l’essere buon padre, invece, implica una doverosa rivendicazione di reciprocità. Ritengo che sia stato necessario percorrere i primi quattro argomenti del blog per affrontare in modo più agevole una materia certamente meno immediata.
Che cosa intendo per disconoscimento [1] del bambino? Direi il contrario del riconoscimento come individuo indipendente; è l’incapacità di considerarlo diverso da me, con le sue idee, il suo carattere, le sue emozioni, le sue inclinazioni, i suoi spazi, i suoi tempi… Se dico a mio figlio: “Sei triste? Eh lo so, ti capisco perché a volte capita anche a me. Posso chiederti qual è il motivo?” riconosco una sua situazione emotiva, rendendomene partecipe; se invece uso un più sbrigativo: “Sei triste? Passerà!” compio un’azione di disconoscimento nei confronti delle emozioni di mio figlio, il quale penserà che nessuno lo capisce oppure che lui vale poco come persona perché i suoi genitori gli dedichino la giusta attenzione.
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Conseguenze del disconoscimento
Ovviamente, essendo una forma subdola di violenza psicologica, il disconoscimento è pericoloso (difficile individuarlo nelle nostre azioni, specie se siamo abitudinari) e potenzialmente distruttivo: l’individuo che lo subisce si autoconvincerà di valere poco, di essere inutile, incapace di raggiungere qualsiasi obiettivo; oppure penserà di dover “fare di più” per meritare l’attenzione dei genitori… Insomma, a seconda del carattere diventerà nevrotico, irrequieto, depresso, debole, narcisista, istrionico, aggressivo… Certamente non sarà un adulto sereno ed equilibrato.
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Una storia di disconoscimento
Ma torniamo per un attimo a uno degli articoli introduttivi de «la Catena di #Elettra». Paolo aveva subìto disconoscimento da parte di sua madre durante tutta l’infanzia e l’adolescenza. Sebbene egli fosse in grado d’imparare in breve tempo a svolgere bene qualsiasi compito, la mania materna di voler controllare tutto e tutti l’aveva represso: “Tu questo non lo fai perché me ne occupo io!” – “Tu stai zitto perché sei il più piccolo in casa!” – “Lascia quella bottiglia in frigo: vengo io a prenderla perché tu la rompi!” – “Guai a te se tocchi i miei libri!” e via dicendo. Purtroppo Paolo è diventato un adulto insicuro, nevrotico, isterico, eterno numero due, incapace di assumersi responsabilità in modo stabile, abile nel cominciare cento compiti ma non finirne uno…
Cari amici, vi rivolgo un ennesimo invito: se vi ritrovate in alcune delle condizioni caratteriali del povero Paolo, o se cercate spesso l’attenzione e la stima degli altri, per il bene dei vostri figli approfondite la faccenda e analizzate il comportamento dei vostri genitori: è probabile che abbiano a loro insaputa (lo spero!) applicato disconoscimento e che voi stiate inconsapevolmente «riciclando» lo stile coi vostri bambini; vedremo insieme quali sono le “tecniche disconoscitive” più diffuse in questo e nei prossimi articoli.
Molte sono le manifestazioni pratiche del disconoscimento; la prima che mi viene in mente si esprime nello scarso rispetto del bambino inteso come individuo indipendente da noi, ma ne esistono altre: l’incapacità di considerare i figli come individui diversi fra loro; l’eccesso di protezione; il manifesto disinteresse; voler mantenerli bimbi piccoli; svolgere per loro compiti che sarebbero benissimo in grado di gestir da sé; stabilire fra di loro criteri di priorità in base all’età, al sesso, alle capacità; metterli in competizione fra di loro; impedire loro di manifestarsi come bambini… In questo articolo tratteremo il primo dei punti elencati.
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[1] In psicologia il «disconoscimento» si esprime col termine scientifico di squalificazione, come cortesemente mi fa notare l’amico di Twitter dott. Emilio Toma (@emiliotoma).
Bruno caro, ti sopporto a malapena, ma quando ti leggo credo quasi di volerti bene 😀
Guarda che lo so benissimo che è solo una storia di sesso!!! 😛