Questo articolo costituiva un corpo unico insieme con quello sulla violenza verbale; li ho separati per una maggior facilità di lettura.
Poiché da tempo vi ho ormai rivelato la struttura portante di questo mio lavoro, e molte domande, molti spunti che traggo dalla rete si riferiscono ad argomenti diversi dal ruolo e dalla coerenza, ho deciso di procedere in modo “orizzontale”, sviscerando cioè le restanti categorie in sequenza: incoerenza, violenza, inganno e disconoscimento.
Oggi cominciamo uno degli argomenti che mi sta più a cuore. Premetto che talvolta potrò apparire abbastanza sgradevole: contro la violenza a danno di un innocente che non ha strumenti fisici né psichici né culturali per opporsi a tale comportamento, non riesco proprio a intravvedere un’argomentazione logica e razionale, perché del tutto irrazionale e ingiustificabile appare l’adozione di certi metodi. L’unica spiegazione plausibile fa capo a tutto il lavoro de «la Catena di #Elettra»: il genitore ha subìto un’educazione inadeguata e non si è ancora soffermato a riflettere sugli errori che tale situazione gli induce; egli quindi, non ponendo rimedio allo stato che lo affligge, «ritrasmette» gravi vizi educativi come un cieco ripetitore emotivo che agisce nel dominio del tempo.
Di conseguenza, un avvertimento: qui si spiegherà perché l’uso di mezzi educativi violenti porta sempre e comunque al disastro; capisco che, a volte, chi adotta certi metodi semplicemente non è consapevole del danno che può produrre uno strillo o uno schiaffo, specie se reiterati o sfuggiti in un momento di debolezza del bambino. Si pensa: “Che farà mai una sculacciata quando serve?!”, “Mio padre ogni tanto mi dava un ceffone e ora lo ringrazio!”, “Un’urlata come si deve, e tutto si rimette a posto!” e si osserva l’effetto immediato, che il più delle volte dà ragione al genitore, nel senso che il bambino si “corregge” all’istante (almeno le prime volte); ma nessuno rivolge mai l’attenzione al messaggio che, con questi gesti, gli trasmettiamo…
Chi, dopo aver letto queste pagine, persevererà nel grave errore di usare la violenza come metodo educativo, sarà da me (per quel che conta) ritenuto una persona indegna della responsabilità, dell’onore e della soddisfazione di allevare ed educare un bambino. Il linguaggio che userò sarà volutamente emotivo perché emotivo, e per nulla razionale, come detto, è lo stimolo che porta all’urlo o alla sgridata, alla minaccia, allo scapaccione o alla sculacciata, al gusto del punire, al controllo ossessivo, alla paranoia [1], al ricatto. Per affrontare l’aggressione e la prevaricazione, che siano verbali, fisiche o psicologiche [2], non conosco altri modi che il duro confronto. In certi casi ritengo che sia più opportuno “suonare la campana”: saranno pochi, ma qualcuno si sveglierà: ne sono certo…
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[1] Adotto questa terminologia più propriamente psicologica in modo certamente improprio e scusandomene con gli eventuali professionisti che dovessero leggere: me ne servo tuttavia per mera comodità espressiva, al fine di descrivere comportamenti tendenzialmente ossessivi, ma che non costituiscono (per ora) una vera e propria patologia. Diciamo che tratto le irrazionalità di tutti i giorni…
[2] Non affronto la violenza sessuale perché, oltre agli evidenti aspetti penali che la questione implicherebbe, ritengo che saremmo pienamente in campo patologico e pertanto invito chi fosse interessato al tema a rivolgersi a specialisti. Il semplice “scapaccione ogni tanto” (violenza fisica), la sgridata (verbale) e le forme di violenza psicologica si inseriscono in un quadro di gravità variabile: anche se comunque mi disturba terribilmente, non mi sento di definire “criminale” un genitore che qualche volta si è lasciato andare a momenti d’ira (il tipico: “Eh, ma, a volte, te le tirano proprio fuori!…) Va da sé che anche queste tre forme di violenza, come la cronaca c’insegna, possono sconfinare nel crimine e nell’abuso veri e propri; ecco, questi ultimi, come già specificato nelle avvertenze, non costituiscono l’ambito de «la Catena di #Elettra».
Io, spesso, quando il grande (11) mi fa arrabbiare per un comportamento sbagliato, che rischia di sedimentare in lui e rimanerci, lo “minaccio” di comportarmi allo stesso modo nei suoi confronti. Esempio: ieri scherniva la sorellina dicendole “non capisci niente”, frase che ferisce la bimba. Io gli ho detto che avrei potuto dirgli la stessa cosa, quando lui dimostra di non capire un concetto, facendogli provare quanto sia doloroso. Mi pare uno dei pochi modi per far comprendere a un bambino quanto sia sbagliato il suo comportamento.
Tecnica certamente valida con un bambino grande e sensibile come Simone: egli ormai capisce bene certi sillogismi… Se però i due avessero la stessa età, riterrei opportuno lasciarsi smazzare le proprie discussioni fra loro… 😉
Certo, certo. Infatti ho specificato l’età e la situazione proprio perché prima non capirebbero. Anche io tendo a non intervenire tra i due, ma Sara è tremenda: lo stuzzica e lui le molla sculaccioni, solo che la differenza di peso porta per forza a un intervento di moderazione…
Comunque il tutto rientra nella normale dinamica di rapporti tra fratelli. I tuoi figli sono stupendi.
Grazie!
Avranno preso dalla mamma 😛
LOL! 😀
Ma di sicuro hanno preso da lei 😀
Grazie per questo post, mi ha fatto riflettere sul fatto che io con i miei genitori non sono stata molto aperta, non tanto per alzate di mani ma più per mancanza di apertura e disponibilità a discutere anziché urlare. Voglio un rapporto diverso con mia figlia, voglio essere sempre sincera con lei in modo che si fidi di me, mia madre mi mentisce ancora oggi, anche solo nascondendomi le cose e dalla mamma ferisce molto.. dovrebbe essere il tuo punto di riferimento quando ti crolla il mondo addosso i genitori sono sempre li quando non ti rimane niente e invece io questo non riesco a provarlo. A mia figlia voglio trasmettere sincerità e rispetto, niente bugie. E ora mi impegnero’ anche a non urlarle se mi fa perdere la pazienza.
Cara Gioia, nessuno può essere perfetto. I genitori perfetti non possono educare bene i figli alla vita semplicemente perché la vita non è perfetta: un bambino cresciuto nella perfezione sarà un disadattato. Errori, omissioni, sfoghi emotivi eccessivi capiteranno sempre. È tuttavia essenziale capire che questi devono mantenersi a un ragionevole limite inferiore. Il bambino deve far suo un concetto essenziale: a volte, lo so bene, le emozioni sfociano in manifestazioni eclatanti (eviterei estreme) perché così è l’uomo, e io sono consapevole delle conseguenze possibili, anche in termini di ritorno emotivo negativo a me stesso; quindi pongo molta attenzione a non lasciarle esprimersi con altre persone.
E dove le mettiamo, allora, queste «malemozioni» represse che inevitabilmente si accumulano? Nello sport, nell’attività all’aria aperta… Va da sé quanto questi siano essenziali per il corretto sviluppo psicofisico dell’individuo.
P.S. Anche mia mamma (piegata da un uomo un tempo aggressivo, quale mio padre era) conta un sacco di balle.
Pretendere di essere perfetta non lo voglio, ma voglio fare il possibile per rispettare mia figlia, me lo sono promessa. Spero di fare il mio meglio, una mamma che non urla è una mamma serena che trasmette serenità all’ambiente familiare.
Gioiagreen
Eh già. Compimenti per la determinazione, comunque, e in bocca al lupo! 🙂
La nota numero 3 sarebbe da mettere in risalto perchè molto spesso chi urla passa per severo e invece chi urla è aggressivo, chi usa un tono severo, educa.
Il vero “segreto”, e la vera difficoltà, sta nell’usare un tono severo ma amorevole.